Valentino Rossi, The Yellow Issue

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UN NUMERO SPECIALE DI RIDERS COMPLETAMENTE DEDICATO AL PILOTA YAMAHA E ALLA LEGGENDA DEL MOTOCICLISMO (E NON SOLO) PER I DIECI ANNI DELLA VR46: CONTENUTI INEDITI E UN’INTERVISTA ESCLUSIVA E INTIMA DOVE ROSSI PARLA DEL SUO PASSATO, PRESENTE E FUTURO. VALE HA APERTO LE PORTE DI CIÒ CHE HA COSTRUITO DAL 2008 A OGGI COME NON AVEVA MAI FATTO PRIMA

Il 20 febbraio esce un numero unico di Riders Magazine. La rivista punto di riferimento per il lifestyle motociclistico diretta da Moreno Pisto, dedica questa edizione all’intero mondo di Valentino Rossi, che ha appena compiuto 39 anni e che sta per cominciare lennesima stagione in MotoGP. Per la prima volta Valentino, nove titoli mondiali vinti, ha aperto tutte le porte di ciò che ha costruito, proprio nel decimo anniversario della nascita di VR46, fondata nel febbraio del 2008 dopo la vicenda delle tasse e passata attraverso vittorie, sconfitte, tragedie sportive e umane ma che non hanno mai fermato la passione di Valentino e delle persone che lavorano con lui. «Non è mai stato fatto, nessuno lo farà mai. – Scrive Moreno Pisto nell’editoriale – Con nessun media o giornalista Valentino Rossi aveva mai aperto il suo mondo con così tanta disponibilità».

The Yellow Issue, ovvero 100 pagine dove per la prima volta si fa un punto complessivo sul più grande di tutti i tempi attraverso interviste, servizi, reportage e molte storie inedite. Il numero è diviso in: la storia della VR46 dal 2007 a oggi; i personaggi principali di questa fantastica storia; un reportage da Tavullia; unintervista a Valentino; un reportage dallazienda; lAcademy; il Ranch; il mondo racing dal team Yamaha MotoGP allo Sky Racing Team VR46, al Monza Rally Show.   

Nel numero una lunga intervista esclusiva firmata da Moreno Pisto, una chiacchiera intima con Valentino. Queste le parti principali:

VALENTINO SUL SIC

«…Con lui eravamo molto amici, stavamo insieme quasi tutti i giorni, almeno cinque, sei giorni a settimana. Quasi sempre, finito l’allenamento, andavamo a cena a casa di Carlo (Casabianca, il preparatore atletico), con il Sic che portava il sushi e che ne mangiava il doppio di noi e noi che lo mandavamo affanculo. Era bello. Essere anche coinvolto nell’incidente è stata una cosa devastante. Difficile da superare personalmente, ma non ho mai pensato di smettere. Mi è dispiaciuto però essere lì. Magari se fossi stato due moto più avanti sarebbe stato un po’ più facile, ecco. Però con il tempo passa tutto e quando penso al Sic ho solo ricordi positivi. Alla fine è andata così e non ci si può fare niente».

«Sono andato avanti per amore. Sennò avrei già smesso. Perché una situazione come quella dell’incidente di Marco non la superi. Ero già grande, avevo vinto dei Mondiali, potevo dire basta. Ho cercato di dividere le due cose, il dolore e quello che si deve fare per superare. Poi ho pensato alla carriera, che volevo continuare, volevo tornare in Yamaha e tornare a vincere».

SU UNA EVENTUALE FAMIGLIA

Anni fa, proprio a Riders, avevi detto che preferivi avere una figlia piuttosto che un figlio. Ma sei ancora di questa idea? «No. Certo, si parla di niente, perché in un modo o nell’altro è bello uguale. Però adesso, se potessi decidere, mi piacerebbe avere un bambino. Perché avrei più cose in comune da condividere».

SULLA MOTOGP E MARQUEZ

Quando vedremo lo Sky Racing Team VR46 in MotoGP? «È un’idea che c’è. Sarebbe bello…».

Lavversario da battere sarà sempre Marquez? «È impressionante quello che fa Marquez, anche perché non cade più…». Elettronica o cosa? «L’anno scorso si è salvato talmente tante volte che non può più essere un caso. Per prima cosa, secondo me lui si è adoperato per migliorare questa tecnica. Il suo stile di guida lo aiuta. Non so se è naturale o ci ha lavorato. Lui mette il suo corpo fra la moto e l’asfalto, usandolo come un piozzo per non cadere. Prima di lui non era mai successo. Secondo me non è l’elettronica, ma la moto. A Pedrosa quando gli succede, cade. È la moto, secondo me, che è fatta in un modo che quando la ruota davanti si chiude continua comunque ad appoggiare. Questo succedeva anche prima di Marquez. A Stoner, per esempio. Pensiamo anche all’incidente del Sic, con la moto che ha continuato a curvare… Un’altra moto, tipo la nostra, se chiude davanti, la ruota tocca la carena e non la tiri più su. La Honda, magari per il V, tende a rimanere appoggiata per terra. Quindi Marquez, gli è successo una volta, due, tre e alla fine si è inventato un modo per ritirarla su».

TRA I CONTENUTI ESCLUSIVI SPICCANO ANCHE: gli aneddoti di Alberto Tebaldi e Uccio, amici prima, assistente, e adesso responsabili dell’azienda e dell’Academy, sulla storia di VR46; una foto delliconico simulatore, un excursus dettagliato sull’Academy, il racconto dei progetti di beneficenza di Valentino e del fan club, mai svelati fino ad ora, moltissimi incontri con i protagonisti, il team, i familiari, e importanti collaboratori di sempre, tra cui Carlo Casabianca, il suo preparatore atletico che non aveva mai rilasciato unintervista come questa.

Conclude leditoriale che presenta il numero: «Questo non è solo un inno al motociclismo, ma è un inno alla vita. Quello che Valentino trasmette è amore. Non amore per la moto. Amore, punto. Amore per ciò che si ama fare. Valentino ha vinto tutto, ha guadagnato un’infinità, potrebbe fare quello che vuole come vuole quando vuole. Eppure. Eppure è lì che corre, rischia, si mette continuamente alla prova, vince, perde, gestisce un’azienda, coltiva giovani piloti, si riprende da scandali, tragedie umane, infortuni senza perdere mai, mai, mai l’entusiasmo e la grinta per rischiare una volta di più, essere competitivo una volta di più, provarci una volta di più. Cos’è questo se non leggenda, mito, romanzo? Cos’è questo se non amore, amore per ciò che si ama e si fa? In ogni riga scoprirete qualcosa, ogni articolo aggiunge un pezzo al puzzle che messo insieme svelerà perché Valentino è uno dei più grandi di tutti i tempi. Ed eccola qui la parola giusta per questo Riders: irripetibile».


ALTRI ESTRATTI TRATTI DALL’INTERVISTA ESCLUSIVA
A VALENTINO ROSSI

I DETTAGLI

Come nasce il momento della preghiera di fianco alla moto? «Nasce dal Campionato italiano dei primi anni, non avevo la tuta su misura e quando partivo mi dava fastidio. Quindi facevo quel movimento, per metterla a posto nelle ginocchia e all’altezza del culo. Facevo un piegamento, poi mi sono attaccato alla pedana. È diventato un rituale, anche se poi la tuta me l’hanno fatta apposta. Non è una preghiera, ma un momento di concentrazione. Perché quando si sale in moto, sia da corsa che da strada, ci deve essere uno stacco. È una cosa pericolosa, devi essere concentrato al cento per cento, lo faccio per dimenticarmi di quello che c’è stato fino a lì e pensare solo a guidare»..

E perché hai deciso di salire sulla moto sempre dallo stesso lato, il destro? «Ah, questa è facile, perché è la parte della manopola del gas».

L’ACADEMY

Valentino: «L’Academy è l’aspetto che ci piace di più, fra tutto il resto. Ci dà gusto farla. Nasce tutto da Marco Simoncelli, che nel 2006-2007 era in crisi, non andava forte e mi diceva: “Vale, sono nella merda e non riesco a cavare un ragno dal buco, mi fai vedere come ti alleni? Mi dai una mano? Ci alleniamo insieme?” Io ero amico di Marco, però come tutti eravamo molto gelosi del nostro modo di preparare le gare. Eravamo titubanti. Poi alla fine Sic era simpatico e mi sono detto: “Se c’è qualcuno che mi fa compagnia quando mi alleno o quando vado a girare con la moto da cross è bello”. Ho pensato fosse un modo per crescere e diventare più forti. Da lì nasce l’Academy. Nel frattempo arriva Franco Morbidelli e poi purtroppo arriva l’incidente del Sic. Quindi, anche un po’ per ricordarlo e portare avanti tutto questo in suo onore, abbiamo proseguito con il progetto e dopo Morbidelli c’è stato mio fratello, che aveva iniziato a correre con il suo babbo e gli chiedevo: “Ma sei sicuro?” mi sembrava strano. E poi il resto è venuto di conseguenza, in modo naturale. Tipo Migno, nel paddock lo vedevamo girare in bici e ci faceva ridere, perché era piccolino piccolino, e allora ci siamo detti: “Pigliamo anche Migno e diamogli una mano”. Quindi, non voglio dire che sia stato tutto casuale, ma è andata così».


ESTRATTI DAI PERSONAGGI INTERVISTATI IN ESCLUSIVA SUL NUMERO
 

IL PASSATO

Sul 2007 Uccio non sorride, anzi: «Prima eravamo nelle mani di persone che di Valentino vedevano solo il lato commerciale senza metterci un filo di cuore. Mi ricordo che in Turchia, nel 2006, litigai con il manager di allora e da lì cominciai a far aprire gli occhi a Vale».

Sul 2008 Sempre Uccio: «Eravamo in macchina, dall’hotel andavamo al circuito, io guidavo e ripetevo: “Vale oggi tiriamo fuori tutto quello che abbiamo, non lo far stare mai davanti, perché se gli metti sempre le ruote davanti va in cagotto”. E lui: “Come faccio a stargli davanti?”. “Lascia i freni, entra dentro, lascia i freni, entra dentro. Tramortiscilo, per favore”. Ho continuato a rompergli i coglioni tutto il viaggio che lui a un certo punto mi ha detto: “Ok li mollo sti freni, basta però”. Però io non ho smesso, anche in griglia glielo dicevo, gli facevo: “Te lo ricordi? Te lo ricordi?”. Lui non rispondeva ma ho ancora in mente sti occhi che non vedevano l’ora di partire, che mi emozionavano, perché avevo capito che recepiva tutto e sapevo che ce l’avrebbe fatta».

RICORDI DI GIOVENTÙ

1998 Uccio: «Una volta Aprilia aveva organizzato uno shooting di due giorni. Vale non aveva ancora la patente ed eravamo andati su con la Bravo di mia mamma, a Venezia o quelle parti là. Primo giorno ok, secondo giorno ok, e poi dicono: “Ah c’è da fare anche domani mattina”. Ok. Dopo la mattina del terzo giorno ci dicono che dovevamo trasferirci da un’altra parte per finire le ultime cose nel pomeriggio. Ci accodiamo alle altre macchine, a un certo punto la prima della fila mette la freccia, tutti si preparano a girare e Vale mi fa: “Te vai dritto”. C’era anche Capirossi, c’erano i vertici Aprilia, potentissimi. Vale aveva vinto un solo Mondiale, non è che poteva permettersi di comportarsi come gli pareva. Gli altri vanno a sinistra e noi no. Sempre Vale mi fa: “Adesso scala una marcia, dai il gas e spegni i cellulari”. Pernat, allora il team manager Aprilia, mi chiamò la sera incazzatissimo, non avevano potuto finire il lavoro per colpa nostra. Ahahahahahahaha. Vale è rimasto uguale: per fargli fare questo tipo di attività devi essere preciso. Se gli dici che un’intervista dura mezzora, deve durare mezzora, se no si infastidisce».

I MOMENTI INTIMI: QUANDO VALE DICE «CHIUDETE IL BAR»

Il momento della vestizione. Sempre Uccio: «Facciamo le stesse cose dal 96, ci devono essere solo determinate persone. Nelle gare europee io, Carlo, Vale, Albi e Max, che mi ha sostituito come assistente. Fuori Europa io, Vale e Max. Basta. Lì non entra più nessuno. Vale dice: “Chiudete il bar”, che è l’ufficio dove si cambia. Da lì non si scherza più. Lì Vale comincia a pensare a quello che c’è da pensare, ed è un modo per iniziare la concentrazione e dire: “Oh, tra mezzora si parte». I passaggi sono questi: «Motorhome. Io arrivo e Max già è lì. Max fa un check se è tutto ok, stivali, guanti, sottotuta. Poi ci vado io e faccio un’ulteriore verifica. Poi arrivano Vale, Carlo e Albi. Albi arriva a piedi, Carlo e Vale con lo scooter. Una volta tutti, chiudiamo il bar. Se uno dei nostri ha fatto bene ascoltiamo le interviste della Moto2, poi basta». La tele non parla più, parla Vasco. «Vale accende la musica. O un Vasco d’annata o l’album Nessun Pericolo per te».

IN PIÙ

Flavio Fratesi racconta gli aspetti benefici del fan club: «È la parte più umana, quella che non tutti conoscono. La gente pensa solo all’aspetto frivolo, pensa che si tratti di ragazzi che non sono mai cresciuti, di eterni Peter Pan. Invece quest’anno abbiamo fatto trenta ospedali, visitato più di 4.200 bambini, incontrato disabili e collaborato con Vanni Oddera per la Mototerapia». È successo così: una decina d’anni fa ci ha contattato l’ospedale di Padova. Siamo andati bambino per bambino a portare le cose, perché è bello, coinvolgi loro, coinvolgi i genitori, coinvolgi i medici. Subito dopo lo è venuto a sapere un centro tumori di Milano dove c’era un bambino malato, Riccardo, tifosissimo di Vale. Ci ha invitati. E noi abbiamo accettato. Quando, un mese dopo, siamo arrivati Riccardo stava malissimo, rifiutava le cure, tanto che gli avevano dato venti giorni di vita. Ci è venuto in mente di dirgli che avevamo parlato con Vale e che lui era il nostro ufficiale rappresentante all’ospedale, stimolandolo con una promessa: “Vale alla prima vittoria ti porta la coppa”. Passano due mesi e mezzo, Vale vince, ma nessuno di noi ha il coraggio di telefonare a Riccardo. Invece Riccardo c’era ancora! Andiamo su con la coppa con un videomessaggio di Vale che diceva: “Ciao Ricky, mi raccomando, se conquisto il Mondiale, tutto quello che vinco te lo porteranno Flavio e Rino”. Era sempre un modo per stimolarlo ulteriormente, anche se si parlava di un Mondiale e il campionato era appena iniziato. Ma il Mondiale Vale lo vince davvero, in Giappone, sette mesi e mezzo dopo dalla prima volta in cui siamo andati lì. Telefoniamo a Ricky, Ricky c’è ancora e manteniamo la promessa, portandogli tutto quello che era stato dato a Valentino. Ricky era intubato con un sorriso che non ti dico. Vedere lui, ma vedere anche i genitori, che sei mesi prima erano demoliti e invece adesso erano sereni perché Riccardo aveva raggiunto l’obiettivo della sua vita, è stato indescrivibile. Sarebbe morto lo stesso, ma almeno così ha realizzato il suo sogno. Siamo stati lì mezza giornata perché lui, malgrado tutto, parlava, era attivo, era tutto incredibile. Prima di andar via ci chiama e ci dà un foglio: “Questo è per Vale, è un regalo per lui per quando non ci sarò più. Grazie”. Due giorni dopo è volato in cielo. Aveva disegnato la sua manina perché sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Due anni più tardi abbiamo messo la sua manina nella maglia del fan club. Ma ti rendi conto che cosa sono riusciti a fare una maglia e un berrettino?». E da lì è partito tutto.

Alberto Tebaldi sul rapporto con Yamaha: «Qui tutto è speciale, anche il rapporto con Yamaha. Noi la maglia Yamaha la sentiamo, la sentiamo, e i progetto come il Mastercamp, fatto in collaborazione per far crescere le giovani promesse, ci stanno legando ancora di più».

Claudio Sanchioni il commercialista-guru della VR46: «L’Academy è il modo con cui Vale ha cercato di rendere al motociclismo quello che il motociclismo gli ha dato. Di solito le famiglie per poter far correre i propri figli pagano, si indebitano e ipotecano le case, e Vale per i suoi piloti non voleva che accadesse più una cosa simile, quindi per prima cosa ha chiesto alle persone coinvolte in questo progetto di lavorare gratis. Abbiamo risposto tutti di sì. Come seconda cosa ha deciso di non farla a fine di lucro, e ci siamo detti che quando i piloti avrebbero cominciato a guadagnare avrebbero versato il dieci per cento del proprio stipendio per finanziare le attività dell’Academy. All’inizio Vale ha dovuto contribuire personalmente per mettere in moto questo meccanismo, ma oggi funziona»

Stefania Palmamamma di Valentino: «Io mi ricorderò sempre un episodio avvenuto all’asilo. Quando inizi ad andare all’asilo ti fanno disegnare, fai l’autoritratto. Io ricordo che Vale si era fatto questo grande autoritratto e si era dipinto il volto di rosa con degli occhi azzurri brillanti. E da lì ho sempre pensato che sarebbe diventato un ingegnere o un medico, che sarebbe stato comunque una persona brava, dalle ottime capacità. Brillante, appunto. Quegli occhi io me li ricordo ancora. Eranolucenti, non so come sia riuscito a colorarli in quel modo, ma erano proprio splendenti e da quel momento ho capito che anche lui era destinato a brillare».

Nicolò Bulega, pilota Moto3, Sky Racing Team VR46: «Vale è sempre disponibile, tutto quello che ha dentro lo dà senza problemi, fa tutto quello che serve per insegnarti al meglio e se tu dimostri curiosità, se ti interessi, se gli poni delle domande, se dimostri tu per primo di voler imparare da lui, è ancora più motivato a farlo»

Stefano Manzi, pilota Moto2, Team Forward: «Vale qui è il capo, eppure fa le stesse cose che facciamo noi. Si allena con noi, sta sempre insieme a noi. Non so se ti puoi rendere conto di cosa vuol dire. Questa è semplicemente una gran figata!»

Brunella Piccini, production manager VR46: «Noi ormai cerchiamo di ragionare così come pensiamo lo farebbe lui. Ci chiediamo: “Qui Vale cosa farebbe?” Il motore che ogni mattina ci spinge ad andare avanti è anche questo. E poi è curioso su tutto, ti chiede un sacco di cose. Gli mostravo un tessuto e gli parlavo della mano, lui mi guarda e mi fa: “Cos’è la mano?” Glielo spiego, lui si scrive un appunto, si informa e poi usa il termine in maniera appropriata. Non sa una cosa, chiede, prende appunti e si informa. Tutto questo ha un immediato riscontro. Per esempio, la costruzione del suo cappellino: lui è maniacale perché ha raccolto un sacco di informazioni, quindi è capace di chiederti una modifica che a te sembra marginale eppure alla fine ha ragione lui, quel cappellino viene fuori perfettamente».

Photo credits: Gabriele Micalizzi
Art direction: Circular Agency

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