Provando il Giulietta America Dragster dentro un pattinodromo, la sensazione è di essere su una giostra da corsa. Un omaggio (divertentissimo) agli anni Settanta
Girare con un vecchio motorino a ruote piccole in un pattinodromo un suo stramaledetto perché ce l’ha. Sarà il fascino dell’incursione fotografica. Il vecchio Giulietta America Dragster del 1970 pesa in fondo solo una sessantina di chili e, grazie agli improbabili tubi paracolpi e ai vari accrocchi di cui è dotato, non è difficile per due persone trovare gli appigli giusti per fargli scavalcare la recinzione.
Le ombre lunghe dei tubi che circondano il Giulietta America, qui in versione Dragster, si disegnano sulle curve sopraelevate della pista. Viene in mente Rollerball, il film di fantascienza del 1975, in cui moto e pattinaggio facevano parte della stessa scena. Non sorridete. Le prestazioni del Dragster con il carburatore Dell’Orto da 19 sarebbero sicuramente in grado di lanciare un leader jammer sui pattini lungo i duecento metri di questo strano ovale. Il Dragster vede senza particolari problemi i 90 all’ora. Certo, le ruote da 12 pollici non danno grande fiducia ma tant’è.
Tre in uno
Peripoli, l’azienda vicentina che produceva il Dragster, lo annunciava come il motorino «che racchiude in un solo veicolo i pregi dello scooter, dello sport e del supersport».
Alla fine degli anni Sessanta in Italia ci fu molto interesse per questa tipologia di piccoli ciclomotori. La lista delle aziende che misero in produzione motorini con ruote da 8”, da 10” e da 12” è nutrita ma, nonostante lo scopo fosse quello di accattivarsi le simpatie di chi vedeva nella moto un mezzo pericoloso per i propri figli, la pubblicità ammiccava decisa alle prestazioni.
Garelli, tanto per fare un esempio, per il suo Minibat puntava l’attenzione sul fatto che montava lo stesso motore dei record di velocità conquistati dall’azienda brianzola. Sulla testa del motore del Dragster, un Franco Morini a quattro marce, è persino stampigliata una pretenziosa scritta Turbo che, a quanto pare, si riferisce a un presunto vortice d’aria provocato dalla particolare conformazione delle alette di raffreddamento in quel punto. Però Turbo rimaneva pur sempre di grande effetto in quegli anni.
La moto del Luna park
Oggi, che il controvento va di moda, mescolato spesso a caso con altri slogan estemporanei nel frullatore dell’originalità a tutti i costi, anche i cinquantini a ruote piccole potrebbero trovare il loro contesto racing in un pattinodromo. Versioni originali, ortodosse, assolutamente bandite le special; e un dress code che contamini il fascino del vintage motociclistico con quello da luna park. Alla fine, quel banking appena accennato che si trova nelle curve del pattinodromo è disegnato dalla stessa esigenza di limitare in qualche modo la forza centrifuga durante la percorrenza. Dalle piste in legno su cui correvano le board tracker all’inizio del secolo si arriva facile al muro della morte.
Il Dragster è la moto del luna park. E non solo per le stelle filanti che spuntano dal manubrio. Solo che noi questo luna park lo vogliamo racing, lì dentro vogliamo giocare ai piloti da corsa. Il nome della specialità ce l’abbiamo già: Indianapolis! Sì, certo. Un nome da auto da corsa per delle gare in motocicletta.
In Giappone fanno così. Le gare di moto che si corrono negli ovali di asfalto da 500 metri, a Kawaguchi quello più conosciuto, loro le chiamano Autorace. Una specie di sigla dentro la quale si racchiudono altre tipologie di gare con bici, cavalli e motoscafi, create per legalizzare il gioco d’azzardo. Dai, allora meglio Indianapolis, un nome da giostra che suona molto meglio che corseinmacchina!
I concorrenti di Giulietta America Dragster
Noi puntiamo forte sul Giulietta America Dragster della Peripoli. Si accettano sfidanti. C’è l’imbarazzo della scelta. Benelli Mini Bike, Garelli Minibat, Italjet Go Go (o Ranger, la versione tassellata), Fantic Super Rocket, Rondine Speedy. Hai voglia quanti ce ne sarebbero ancora!
Regole: poche, semplici e non interpretabili. Solo motorini pre 72, di produzione italiana, ruote non più grandi di 12”, cilindrata entro i 50, gare a inseguimento, chi viene raggiunto perde la manche, eventuali partenze a handicap per chi dimostrasse manifesta superiorità. Niente arbitri né giudici di gara. Indianapolis, altro giro, altra corsa! Per la cronaca: non abbiamo scavalcato, eravamo regolarmente autorizzati dai gestori dell’impianto…
Articolo e Foto di Raffaele Paolucci