L’avventura di Officine Sbrannetti comincia con un Guzzi Ercole abbandonato tra le sterpaglie e restaurato per gioco. Da lì una sfilza di special da concorso sfornate dalla piccola officina nel Golfo di La Spezia. Tra agavi e fichi d’India, studio e lavoro, ci s’inventa la vita, quella che piace davvero
Tutto parte da un Guzzi Ercole del dopoguerra trovato fra le sterpaglie di una cascina abbandonata. Un motocarro con la forza di un toro, un 500 monocilindrico su cui puoi trasportare quintali di roba: 35 km orari fissi e cambio a cloche spacca-polsi. I cinque ragazzi con la voglia di resuscitare quel bestione da montagna fermo da mezzo secolo, oggi sono Officine Sbrannetti.
Per headquarter, una casetta in un borgo nei dintorni di Spezia: così, alla ligure, senza l’articolo e con la “e” aperta. Posti da lupi di mare, gente sincera, chiusa, come il golfo in cui vivono. Cadimare è un gioiellino di paese dove, però, un po’ tutto quello che è vicino al mare è off-limits, territorio della Marina militare.
Il team di Offine Sbrannetti
Jody, Marzio, Moreno, Michele e Simone abitano qui, cresciuti insieme fin dalle elementari. Hanno dovuto capire in fretta se era meglio levare le tende e magari emigrare a Milano, o rimanere e inventarsi qualcosa per portare a casa la pagnotta. Ma come fai ad andartene da un posto così? La mattina apri la finestra e ti fai il primo caffè della giornata accecato dai riflessi del sole sul mare. Esci in giardino e ti bevi una birra tra agavi e fichi d’India. Infatti, i cinque di Sbrannetti non ci pensano davvero a schiodarsi da Cadimare.
Ah già, l’Ercole… Dai e dai, alla fine il motore si è acceso. E così la voglia di ritrovarsi per passare sempre più tempo in garage e, perché no, aprire un’officina.
Il diploma di geometra Jody se l’è perso per strada. Oggi lavora al Tortuga, il piccolo ristorante di famiglia che sembra la cambusa di un vecchio galeone. Prende le comande in sala, mentre il fratello Marzio spignatta in cucina. Il comandante è papà Claudio, barba alla Hemingway e bandana da pirata in testa. Specialità della casa: fritto di paranza, ostriche dell’Isola Palmaria e muscoli alla marinara (da queste parti, se le chiami cozze ti ridono in faccia).
La sede di Officine Sbrannetti
Da quattro anni, terminato il turno del pranzo, Jody e Marzio si sfilano il grembiule e schizzano in officina, a un tiro di schioppo dal Tortuga. La casetta rossa sul fianco dell’Arsenale un tempo era una baracca senza tetto. Ma tra riders, si sa, ci si aiuta sempre; così il proprietario/dottore/centauro, pur di vedere delle moto uscire da lì, gliel’ha data in comodato d’uso.
«Grana non ce n’era, e allora… via alla cubana. Con i soldi son bravi tutti. Fammi vedere che cosa sai fare con quello che trovi», sintetizza Jody, 36 anni. Per nove mesi, col resto del gruppo, si è fatto il mazzo per avere un posto dove costruire le special.
«Un po’ di tam tam su Facebook ed è arrivata mezza Cadimare. Ci hanno aiutato a ricostruire muri, solaio, tetto, impianti elettrici; tutto con materiale recuperato da ex cantieri, fabbriche e baracche dismesse di muscolai». Fino agli ultimi due chiodi, che tengono su l’insegna Sbrannetti.
«Il nome arriva dall’amico che ogni giorno è in officina, non fa niente, sta lì a guardarci lavorare. E noi a dirgli: “Sbrannetti, dacci lo stipendio”. Da allora, il nome l’abbiamo fatto nostro», racconta Michele, 32 anni. È all’ultimo esame per diventare ingegnere navale, poi si vedrà. Intanto, i concetti di meccanica, impianti elettrici e propulsione imparati all’università gli tornano utili. «Se riesco a fare una nave, posso anche smanettare su una moto».
E in officina lo sa fare da dio, proprio come i macchinisti di un peschereccio che, se capita la sfiga di rimanere bloccati in alto mare, rimettono in bolla un’elica oppure aggiustano un pistone con un cucchiaino da caffè.
Moto made in Spezia
Aprire un’officina a budget quasi zero non è stata l’unica sfida. «L’idea era fare moto made in Spezia, ma da queste parti è dura. Quando parli di un carburatore, a tutti viene in mente quello di un gozzo, non di una special su base Triumph.
Ormai ci abbiamo fatto il callo ai fornitori che vogliono come clienti solo armatori che ordinano quintalate di pezzi. Quando gli chiedi un filtro dell’olio per la moto cominciano: “Eh belìn, prima le barche e i soldi; poi, forse, do retta anche a te”». Ma quando hai la pellaccia dura e fame di risultati, inghiotti e vai avanti per la tua strada.
Nel 2013 prende vita la prima special, la #000 Six Days 78, derivata da una Kawasaki Z 400, realizzata per il Deus Bike Build Off di Milano secondo la regola: spesa zero, risultato grandioso.
«L’abbiamo assemblata in due settimane con pezzi di recupero. Ne è venuta fuori una scrambler con due tubi idraulici come scarico», dice Jody.
Poi, nel 2014, il sogno di ogni preparatore emergente: il Motor Bike Expo di Verona. Qui i cinque portano la #001 Der Traktor su base Bmw R 1100 GS, alleggerita all’osso, parafango e manubri da cross, pneumatici artigliati per arrampicarsi come un mulo anche sulla mulattiera ligure più incazzata. «Quella fiera ci ha dato un sacco di soddisfazioni, la gente conosceva il nostro lavoro. E poi, tutte quelle pacche sulla spalla, El Solitario si avvicina e dice: Questa moto è una figata!».
#007, la svolta
La svolta arriva con la #007 Spirit of Zeller Bmw R 1200: i ragazzi entrano ufficialmente nel club di chi accetta la sfida con una Nine-T.
«Per la nostra versione avevamo in testa la mitica RS 54, quella con cui il tedesco Walter Zeller conquistò il secondo posto nel Mondiale 500 del 1956. Parafango posteriore che avvolge la ruota come un preservativo, stile superbike Fifties; gomme slick, tabelle porta-numero sui fianchi in alluminio, fissate con i chiodi, serbatoio nero lucido. Niente resine, sellino in pelle ricavata dal sedile di un aereo dell’Alitalia», spiega Moreno, 34 anni, saldatore del gruppo, arte che ha imparato da solo mentre prendeva il diploma serale in elettrotecnica.
In officina riesce ad andarci di pomeriggio; la mattina sta col figlio di due anni e la sera scatta il turno, dalle 19 all’una di notte, al porto, dove fa il gruista. «Non c’è il rischio di cassa integrazione», dice. «Difficile che il porto chiuda, siamo in 3mila. Spezia è il porto, tutto il resto è contorno».
Doppio lavoro
Un posto sicuro ce l’ha anche Simone, 32 anni, sommozzatore alla Submariner. Fa manutenzione di vasche nelle centrali elettriche, messa in sicurezza delle banchine del porto, recupero di relitti e ispezioni di fognature. Una professione che gli piace da matti perché si sta sempre in mare, mai una giornata uguale all’altra. Tutta un’altra storia quando lo chiamano a controllare i pilastri dell’alta velocità in qualche fondale del Po, acqua torbida, gelida, con i pesci siluro che ti sfiorano le nocche quando fai taglio subacqueo a mani nude.
«Ora che mi hanno promosso capo sommozzatore è più impegnativo, ma appena posso scappo in officina». Poco importa se capita di doverci sgobbare tutta la notte. Per i cinque non c’è niente di più bello che aspettare l’attimo in cui il cliente solleva il telo dal mezzo. L’espressione di uno che ha un mezzo orgasmo di fronte alla sua nuova moto ti ripaga di tutto.
Non sottovalutate i cinque di Officine Sbrannetti
Da quando il quotidiano locale Città della Spezia ha sparato il titolone Da Marola a Sky, nell’Olimpo dei motociclisti (dove Marola è la borgata di La Spezia e Sky è il canale tv) per la partecipazione al programma Lord of the Bikes, anche il più vecchio dei marinai spezzini sa chi sono gli Sbrannetti.
«I fornitori ci danno più retta», scherza Jody., «Per esempio Andrea Lava, maestro del cuoio savonese. Gli spediamo lo scafo della sella e lui pensa a tutto. O i palermitani di Mass Moto, che fanno impianti di scarico da paura, come quello realizzato per la #019 Caffè Lungo Guzzi Griso 1100.
Di spedirgli la moto neanche a parlarne. Ci serviva qui. E poi, era troppo costoso farla arrivare via mare. Dopo una settimana, uno di Mass mi telefona e, in palermitano stretto, mi dice: “Problema risolto. Un tizio, a cui ho fatto un’offerta che non poteva rifiutare, mi ha dato la sua da usare come modello”».
La Caffè Lungo è stata la special che ha fatto perdere più notti di sonno. «Un’elettronica da incubo, pura follia solo l’idea di stravolgere un impianto elettrico del 2005. Per il resto, un nuovo telaio posteriore realizzato a mano in officina, serbatoio e parafango anteriore in alluminio, semi-manubri ricavati dal pieno», elenca Marzio, 30 anni.
Progetti per il futuro
Le livree Sbrannetti sono i colori della macchia mediterranea, dell’agave, del pino marittimo; e il bronzo della terra del bosco sopra Cadimare, borgata 4 delle 13 del Golfo di Spezia. I numeri, che vanno da Porto Venere a Tellaro, sono una cosa dannatamente seria, te li porti dietro fino alla tomba.
Con i vicini la rivalità è feroce: con Fezzano è odio puro, quelli delle Grazie li chiamano i beccamorti. Cadimare, nello stemma il cavallo alato bianco e nero, è la Juventus del Palio marino del Golfo, la regina della sfida di canottaggio che si tiene ogni prima domenica d’agosto.
«Fa accapponare la pelle. Neanche quando l’Italia vince il Mondiale…», dice Marzio, orgoglioso delle sue origini paesane. Oggi Officine Sbrannetti è nella borgata 13, a Marola; ma presto si trasferirà nella 4, a Cadimare: «Al momento non è possibile vivere solo di moto. Vogliamo trasformare il nostro progetto in qualcosa di più concreto; non solo officina ma un posto speciale dove aspettare il tramonto con una birra e l’odore del pesce ai ferri nell’aria. Niente di fighetto, alla buona, come siamo noi. Puro Sbrannetti style».
IL LOGO DI OFFICINE SBRANNETTI
Il logo è un cerchio fatto con la catena di una moto e tre chiavi incrociate, una sorta di ready-made alla Duchamp. Questo oggetto, il primo vero investimento, è diventato il simbolo dell’officina, deciso da Jody Basso «in un momento di raptus». Viene inciso sulle borse di cuoio e applicato sul serbatoio di tutte le loro special.
Stefania Romani; Enrico Salvadori
Nelle immagini: la #019 Caffè Lungo Guzzi Griso; la #001 Der Traktor su base Bmw R 1100 GS presentata nel 2014 al Motor Bike Expo di Verona.