A metà anni Duemila Kenny Roberts Sr e il designer statunitense Roland Sands unirono le forze per creare la KR V5, la custom più esagerata di tutti i tempi
Articolo di Manuele Cecconi
Quando si parla di custom e chopper il pensiero vola subito ai grossi bicilindrici americani, chiassosi V-Twin ad aste e bilancieri che non hanno certo nella potenza specifica il proprio asso nella manica. Il biker-tipo guarda più ai centimetri cubi che ai cavalli, e trae godimento dalla vibrante spinta di un big block che gira sottocoppia: i casi di custom con propulsori caratterizzati da diversi frazionamenti non mancano, ma si tratta di eccezioni in un mondo in cui i V2 possono vantare una vera e propria egemonia.
Le Proton KR
Non sono in molti a ricordarselo, ma qualche anno fa un celebre customizer americano pensò bene di utilizzare su una di queste motociclette addirittura un cinque cilindri da MotoGP. Sì, avete capito bene: un motore da Gran Premio prelevato da un prototipo della classe regina del Motomondiale. Ve le ricordate le Proton KR, le MotoGP autocostruite da King Kenny Roberts? L’avventura del Marziano come costruttore iniziò a fine anni Novanta, dopo qualche anno passato da satellite alla corte di Yamaha. Abbandonate le vesti di squadra clienti dei Tre diapason, il team KR mise in pista la KR V3. Una tricilindrica a due tempi progettata in collaborazione con la malese Modenas. La 500 di Kenny cambiò nome in Proton nel 2001, quando il colosso di Shah Alam subentrò in qualità di sponsor principale. Con il passaggio ai propulsori a quattro tempi si decise in seguito di investire nel progetto di una MotoGP plurifrazionata, che debuttò nel 2003 con Nobuatsu Aoki e Jeremy McWilliams.
La nuova KR5
La nuova KR5 montava un propulsore a cinque cilindri a V da 990 cc, la massima cubatura concessa allora dal regolamento della premier class. I risultati, però, stentavano ad arrivare. In vista del 2005 Roberts Sr firmò un accordo con KTM per la fornitura di un V4 made in Mattighofen. Cosa fare, a quel punto, dei motori V5 costruiti negli anni precedenti? La folle idea della KR V5 affonda le sue radici nel Gran Premio di Laguna Seca 2005. La prima edizione del GP a stelle e strisce dopo 11 anni di assenza del Motomondiale dal suolo statunitense. In quell’occasione Kenny incontrò Roland Sands, affermato designer con un passato da pilota nell’AMA. I due si conoscevano già in quanto Curtis – figlio minore del tre volte iridato della 500 – era stato rivale diretto di Sands nella 250 Nazionale.
La custom più esagerata di tutti i tempi
Chiacchierando nel paddock del tracciato californiano assieme al manager del team Chuck Askland emerse la possibilità di cedere uno dei vecchi propulsori V5 a RSD, l’atelier fondato da Sands e specializzato in special d’autore. Lo scopo era unire le forze per costruire la custom più esagerata di tutti i tempi, proprio con il cinque cilindri del prototipo KR5. Bastò una stretta di mano. Qualche settimana dopo il motore XM2 (990 in numeri romani, seconda versione del 2004) era in viaggio verso gli States da Banbury, sede operativa della squadra del Marziano. E Roland si mise subito al lavoro.
Nasce la KR V5 Tracker
Il risultato della collaborazione tra Sands e Kenny Roberts Sr venne svelato esattamente un anno più tardi sempre a Laguna Seca, in corrispondenza del GP degli USA 2006. La moto, battezzata KR V5 Tracker e caratterizzata da un interasse di 1.550 millimetri, si ispirava nelle forme alle racer dei primi del Novecento. Uno sfrontato contrasto con la raffinata tecnologia del propulsore. Fatta eccezione per l’avantreno Kayaba prelevato da una Suzuki GSX-R 1000 e poco altro, tutto su questa custom era stato costruito ad hoc. Dal telaio tubolare rigido privo di sospensione posteriore alle bellissime sovrastrutture metalliche con il logo KR. Dalla sella old style in cuoio ai maestosi cerchioni da 23 e 21 pollici.
Incastonato in quel traliccio di acciaio c’era però il vero protagonista della scena, il cinque cilindri a V di 60° con distribuzione a doppio albero a camme in testa. Abbinato a un cambio a sei marce con frizione antisaltellamento e a un poderoso impianto di scarico 5-in-5, il propulsore aveva una potenza dichiarata di circa 200 cavalli a 13.000 giri. Se consideriamo i risultati raggiunti dalle MotoGP 990 alla fine dello sviluppo è probabile che il dato ufficiale sia decisamente al ribasso. Una curiosità riguarda anche il radiatore del liquido refrigerante, che fu gentilmente donato da una vecchia KR 500 a due tempi.
Il team KR e il momento di gloria
Oltre a Kenny Roberts Sr furono pochi i fortunati a cui venne concesso di provare questa bestia indomabile, che tra l’altro era stata inizialmente progettata con un solo disco posteriore come molte show bike. In seguito, in uno straordinario eccesso di cautela – si fa per dire – vennero aggiunti anche un disco anteriore da 330 millimetri e una pinza radiale a quattro pistoncini. Poco più di un placebo, con oltre 200 cavalli sotto le chiappe…
E del team KR, cosa ne fu? L’esperienza della formazione capitanata dal Marziano non sarebbe durata ancora a lungo, in una MotoGP dai costi sempre più proibitivi per le squadre minori. Il momento di gloria arrivò nel 2006, quando arrivarono i motori Honda e un parziale supporto dall’Ala dorata. La KR 211V, pilotata da Kenny Roberts Jr in una squadra davvero a conduzione familiare, arrivò sesta nel Mondiale lottando addirittura per la vittoria nel GP del Portogallo. Il passaggio alle 800, però, coincise con un tracollo di competitività che segnò la fine di questa romantica parabola del motociclismo da corsa.
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