I motorini sono sempre più rari, ma quest’anno il Governo ci consiglia e promuove un veicolo di rara pericolosità
Articolo di Marco Masetti
Quando sei giovane digerisci tutto, anche i sassi e persino i cocktail fatti con la roba del discount. Un’esperienza che si accompagna a un reflusso esofageo immediato e di lunga e sofferta durata. Oppure la splendida cucina del kebabbaro, meritevole di un’appendice del processo di Norimberga; per non parlare delle offerte di lavoro «cambio immagine e visibilità», un modo elegante che certi stronzi usano per mascherare il più aderente termine schiavitù. E che molti giovani (e non solo, purtroppo) sono costretti ad accettare. Dopo una certa età la roba da mangiare e da bere di infima qualità non perdona e le idee degli incantatori di piazze e arene tv le lasci perdere. Altrimenti non sei maturato, sei solo invecchiato e pure male.
il mondo di mezzo
Una delle cose che mi ha fatto un effetto scarsamente positivo – per essere politicamente corretto, come usa oggi, e per non dire che mi ha scatenato la peristalsi ultrarapida – è il monopattino elettrico. Veicolo simpatico e gradevole, capace di esaltare le menti e le masse come il gres porcellanato, ma amatissimo da molti rappresentanti della nostra classe dirigente, che vedono in questo mix tra vecchi giochi di bimbi di inizio Novecento e tecno batterie il futuro radioso dell’umanità. Nel monopattino vedono il futuro della mobilità urbana, il sibilante veicolo con il quale attraversare sampietrini vecchi di secoli e buche vecchie di tre assessorati sfrecciando tra camion, camioncini, furgoni e automobili di solito guidati da gente che sta controllando l’universo attraverso uno smartphone. Poi ci sono i pedoni, anch’essi sempre connessi con tutto, che hanno velocità e dinamiche che vanno dal bimbetto ipercinetico alla bella che ondeggia sul tacco 12, a quelli che fanno jogging prossimi alla sincope con gli alveoli polmonari spalancati, pronti a ricevere monossidi e polveri più o meno sottili. E il monopattino a incarnare il mondo di mezzo. Finto ecologico, finto amichevole, finto, insomma.
Non si scappa
Sono anni che li vediamo in giro per il mondo in ordinati centri del Nord Europa dove ci sono piste ciclabili vere (e non strisce di vernice che dovrebbero dividere il ciclista dal traffico a motore), oppure a Barcellona. Qui lo puoi fare, anche andando sul grande raccordo a Roma, senza casco, assicurazione, così, come ai vecchi tempi dei motorini. Quelli che non ci sono più, anche perché tra targa, assicurazione e vari impicci costano come un’auto di media cilindrata. Si poteva studiare il rilancio dei ciclomotori, sicuramente più idonei e sicuri a girare nel traffico, magari con un’assicurazione a costo fisso di cento euro annui. Si poteva, giusto, ma non si è voluto, così magari si aiutava qualche azienda italiana, che dite? Quindi largo al monopattino, che come slogan fa già sorridere, anche se il mezzo che si è ritrovato nel ruolo, non certo suo, di salvatore della patria è già pronto a essere arricchito di targhe, obblighi e balzelli. Non si scappa, anche se sei alla guida di un monopattino.