Il monopattino è una rivoluzione? Sì, ma del secolo scorso. Si chiamava Autoped il primo prodotto in serie ed esisteva in due versioni, elettrico e a benzina. A guardarlo non sembra che in un secolo ci sia stata una grande evoluzione
Articolo di Fabio Cormio
I territori di frontiera sono tradizionalmente selvaggi e senza regole. Lo furono i confini estremi dell’Impero Romano, presidiati da truppe rammollite, lo è stato il Far West con le sue diligenze, i suoi sceriffi e le sue ferrovie nel bel mezzo del nulla. Ora lo è la mobilità dell’ultimo miglio, che nelle grandi città italiane – Milano in primis – consiste in enormi flotte di monopattini elettrici in sharing piazzati ovunque, guidati spesso senza criterio da post-yuppees al cellulare, da panterone col tacco dodici e da giovani tamarri che viaggiano in tre su un monopattino solo abbaiando come cani alla luna. Il tutto è ben poco regolamentato e in questa giungla si sono già diffusi i modelli piratissimi che accelerano come top fuel e bruciano gli SH al semaforo, mentre qualche qualche genio si è già fatto beccare di notte in tangenziale.
“Vabbè ma le cose nuove portano sempre con sé un po’ di casino”, dicono in tanti. E hanno ragione, qui mica vogliamo fare i vecchi parrucconi. Solo che il monopattino a motore, tenetevi forte, esiste da 105 anni. Già, il primo prodotto in serie si chiamava Autoped (a produrlo fu prima la stessa Autoped negli Usa e poi la Krupp in Germania), aveva ruote da 10″ ed era disponibile in due versioni, elettrica e a benzina, con quest’ultima che raggiungeva le 35 miglia orarie, cioè sfiorava i 60 chilometri all’ora. La somiglianza con i popolarissimi aggeggi elettrici di oggi è sbalorditiva, le foto parlano chiaro.
Com’era fatto
L’Autoped a benzina montava sulla ruota anteriore un monocilindrico a quattro tempi non piccolissimo (155 cc), accanto al quale era posizionato un piccolo serbatoio del carburante, mentre l’impianto di scarico era discretamente camuffato. La potenza era di 1,5 CV, più o meno come quella di un Piaggio Ciao. Forse troppa considerando le ruote, i freni molto approssimativi e, soprattutto, i fondi dell’epoca (tanto diversi dal pavé milanese e dai sampietrini romani?). Guidarlo era facile: per muoversi si doveva spingere il manubrio in avanti, mentre per rallentare bastava lasciarlo tornare indietro, in posizione di partenza. Questo garantiva che, in caso di caduta, il monopattino si sarebbe fermato da solo.
Pubblicità progresso
L’aspetto meno attuale – oggi sarebbe ben poco politically correct – ma più emblematico è il testo pubblicitario che accompagnava la promozione dell’Autoped. Eccolo: “L’Autoped è un mezzo di trasporto di breve raggio ideale per uomini o donne d’affari e per professionisti che debbano raggiungere l’ufficio; per le signore che debbano andare a fare la spesa; per i medici, in caso di visite a domicilio e urgenze; per i ragazzini, che possono andarci a spasso o a scuola; per la servitù quando viene mandata a fare commissioni; per le consegne da parte di droghieri, farmacisti e altri commercianti; per i rappresentanti; per i lavoratori dipendenti; per collezionisti, riparatori, corrieri, e per chiunque altro voglia risparmiare denaro, tempo ed energia. Tutti godranno del comfort e del piacere di Autoped”.