Sulle scene da quasi 60 anni, l’iguana del rock cambia ancora pelle. Anarchico, folle, autolesionista? Forse, ma incasellarlo è impossibile: il rocker amato da David Bowie e dallo scrittore Lester Bangs è uno stralunato divo pop nella nuova campagna pubblicitaria del luxury brand italiano
Di Fabio Cormio,
Courtesy Gucci: foto Harmony Korine, direttore creativo Alessandro Michele, art director Christopher Simmonds
Protopunk, icona rock, performer. Chiamatelo come vi pare, ché con lui vale tutto… o forse non vale nulla perché da oltre mezzo secolo a questa parte Iggy Pop (vero nome James Newell Osterberg, nato nel 1947 in Michigan, ha cominciato come batterista degli Iguanas nel ’63), delle definizioni non sa che farsene. Proprio come le iguane, Pop ha cambiato pelle mille volte e, come accade ai pochi capaci di segnare un prima e un dopo nella cultura di massa, nel corso del tempo ha dato tante volte la sensazione di emulare se stesso. Ma sempre senza indolenza, perché la sua cifra, ciò che agli occhi di molti fa di lui il primo vero punk, è la sensazionale dose di energia, di spontaneità selvaggia, fuori dalle regole, dalle plastificazioni, dai codici e certamente anche dal buon gusto. Quando il fenomeno Iggy è esploso, alla fine dei Sessanta con i The Stooges, il folletto di Muskegon – che era stato folgorato poco tempo prima sulla via di Jim Morrison – un metro e settanta di muscoli, sangue e nervi tesi, era una cellula impazzita, un agglomerato grezzo di energia sempre a petto nudo, spesso insanguinato perché sul palco si rotolava tra i vetri rotti. “Sì, Iggy ha un corpo fantastico: è talmente fantastico che ogni suo nervo grida disperato nell’ansia di esplodere fuori in una qualche libertà inimmaginabile” scrisse Lester Bangs, il critico musicale più famoso di sempre, in un articolo che possiamo leggere nella raccolta Guida Ragionevole Al Frastuono Più Atroce (Minimum Fax). “È come se uno che si contorce in preda al tormento avesse trasformato quelle contorsioni in una specie di poesia e noi vi assistessimo, soggiogati dalla bellezza di quelle contorsioni, talmente rapiti da dimenticarci cosa le ha originate. Quanto all’artista, si porta il dolore come una spina nel cuore, ma al tempo stesso nella sua arte c’è un forte elemento di incoscienza, che è uno dei motivi principali per cui è così bella e così intensa”.
Difficile quindi immaginarsi quell’Iggy, esplosivo e straziato, traslato in una dimensione che pare a una distanza siderale da lui: una campagna pubblicitaria patinata. I cultori della storia del rock potrebbero addirittura trovarlo sbagliato. Ecco, forse è proprio qui la chiave: Iggy Pop si è forse mai preoccupato di risultare disturbante o inatteso (volutamente non utilizziamo il termine provocatorio perché ci ha rotto le palle)? No, come quella volta durante un concerto prese per i fondelli una banda di motociclisti rumoreggianti propinando loro una versione di Louie Louie da 45 minuti (“perché tanto volevate sentire solo questa”). Quindi, come peraltro conferma il fatto che già una decina di anni fa era stato testimonial di un profumo Paco Rabanne – non propriamente una marchio di freakkettoni peace&love – Iggy in una campagna raffinatamente ironica come “Life of a rock star” di Gucci ci sta benissimo, con buona pace di noi rocker vecchia scuola e del nostro bisogno di idoli. Per chi non l’avesse vista, anche se impazza sui social da alcuni giorni, la campagna Gucci, ideata dal direttore creativo del marchio Alessandro Michele, riunisce Iggy Pop, il suo ormai celebre pappagallo Biggy e i due rapper A$AP Rocky e Tyler, The Creator. Il video relativo, diretto da Harmony Korine, è stato realizzato (lo scorso febbraio, quindi pre-Covid) in una lussuosa villa di Los Angeles. Pop è ineffabile, improbabile, adorabile. E sembra godersela tantissimo.