Nel 2021 l’unica versione disponibile sarà la nuova Race, omologata solo per l’uso in pista. Si chiude un capitolo glorioso per Iwata (la R6 è fresca campione del mondo) ma il passaggio è il simbolo di un mercato che non è nemmeno lontano parente di quello di 20 anni fa
Di Fabio Cormio
Si chiude un’epoca per il mondo delle sportive da strada: la Yamaha R6 per il 2021 guadagna l’appellativo Race ma perde la targa. Per dirla chiara, la Supersport di Iwata sarà in vendita solo in questa nuova versione dedicata al solo uso in pista. Comunque la pensiate rispetto all’utilizzo su strada di una supersportiva da 270 all’ora, conta il fatto che dopo 21 anni di evoluzioni (molto frequenti soprattutto nella prima decade dei Duemila), la R6 dice basta alla strada. A segnare il prima e il dopo non sono solo le questioni di adeguamento tecnico all’Euro 5, ma il fatto che il mondo è cambiato e anche di brutto. Oggetti del desiderio e fenomeni di mercato tra il 2000 e il 2005/2006, in un contesto completamente diverso da quello odierno e (in Italia) con il plus del cosiddetto effetto Valentino, le supersportive targate – in particolare le specialistiche 600 a 4 cilindri, che per loro natura danno tutto in alto – sono gioielli di tecnologia che oggi fanno fatica a trovare una collocazione fuori dai cordoli. E poi, la rivoluzione dei riferimenti culturali, la trasformazione dei modelli sociali; banalmente la patente a punti, la diffusione sempre maggiore di autovelox e tutor (queste non sono ovviamente novità di oggi ma hanno agito come gocce che scavano la roccia), la ridotta capacità di spesa dovuta a una crisi che si è protratta per anni, la maggior consapevolezza dei pericoli della strada, la demonizzazione della velocità. Tutto questo ha contribuito a formare una generazione di giovani motociclisti poco interessata alla massima prestazione e le varie R6, Ninja ZX-6R, CBR 600, GSX-R 600 ne hanno fatto le spese, a favore di più fruibili naked, adventourer, maxiscooter e quant’altro.
Comunque, la prima ad abbandonare il quartetto delle frecce giapponesi è proprio lei, la Yamaha R6, che – ironia della sorte – è pure fresca di titolo (l’ottavo della sua storia) nel mondiale Supersport con Andrea Locatelli.
La nuova R6 Race sarà disponibile da gennaio, con il suo 4 cilindri in versione da 118,4 CV con valvole in titanio, incastonato nel Deltabox in alluminio, telaietto in magnesio e sospensioni Kayaba, il tutto condito da un’elettronica sofisticata. Novità di rilievo è l’ampia possibilità di personalizzare la moto con lo specialistico kit GYTR (scarico Akrapovič, tubi freno in acciaio, plexiglas da gara e molto altro), opzionale come le sospensioni Öhlins.
Di tutto questo, così come del prezzo (non ancora comunicato), ci importa relativamente. Conta il fatto che si chiude una pagina importante nell’ambito delle moto sportive di grande produzione. E se ne chiude un’altra, più significativa, nel cuore della generazione cresciuta con il mito del gas spalancato, di noi che abbracciavamo il seicento dopo essere scesi dal 125 due tempi. Il lato triste del progresso.