Da un lato si ispira alle proprie radici, dall’altra rinuncia al traliccio sposa soluzioni inedite. Un’icona del passato che ora guarda dritta al futuro
di Alfredo Verdicchio
Ennesimo ed ultimo tradimento! Sì, perché come altro si potrebbe definire l’abbandono del telaio a traliccio anche sulla Ducati più Ducati di tutte; la Monster? Nonostante le giapponesi avessero già da qualche anno più di una nuda derivata da sportive spogliate (soprattutto di piccola cilindrata, come la Suzuki Bandit400, ad esempio), è senza dubbio stata lei, a Colonia nel 1992, a scuotere il mercato dando vita al segmento delle naked sportive. Essenziale e grezza da sembrare più un prodotto artigianale, leggera e rabbiosa, la prima Monster 900 ha fatto scuola e da allora è la Ducati più venduta di sempre (più di 350mila pezzi). Il suo telaio a traliccio è diventato simbolo stesso della casa bolognese tanto quanto il motore Desmo a L (e non a V) e il serbatoio arcuato (o a schiena di bisonte, come definito dagli uomini Ducati).
Ma niente, sempre più il mondo motociclistico (in)segue quello dell’automobile, realizzando basi tecniche uniche su cui poi sviluppare più prodotti, con il rischio di non stupire più e perché tutto si assomiglia. Una esigenza economica a cui da oggi, come la Panigale V4, la Streetfighter V4, la SuperSport950 e la Multistrada V4 prima di lei, anche la Monster del nuovo decennio si adegua adottando un telaio monoscocca in alluminio, il cosiddetto “Front Frame”.
Seguendo le parole d’ordine essenzialità e leggerezza, la Monster perde innanzitutto l’indicazione della cilindrata dal nome: non più 696, 797, 821, Monster e basta. Pesa 188 kg in ordine di marcia, ben 18 in meno della M821. Tutta ciccia persa non solo grazie al telaio in alluminio ma anche per l’adozione di un telaio reggisella in fibra di vetro rinforzato (GFRP), di un forcellone alleggerito in alluminio ispirato allo stesso della Multi V4, di un serbatoio meno capiente (14 lt invece di 16,5), di ruote più leggere, senza dimenticare il lavoro svolto sul twin da 937 cc derivato dalla Hypermotard 950, sempre Desmo, Euro5, che tira fuori dai cilindri 111 CV a 9.250 giri e una coppia massima di 9,5 kgm a 6.500 giri. Numeri che non fanno gridare al miracolo, ma tenendo conto del minor peso, è come se di “cavalli” ce ne fossero una decina e più. In linea con la concorrenza diretta, come la Kawasaki Z900, la KTM Duke 890 R e la Triumph Street Triple RS e la Yamaha MT-09.
Anche dal punto di vista estetico questa Monster ha un design meno pesante anche se sembra spostarsi verso stili più omologati, che strizzano l’occhio a un pubblico più ampio, non solo ducatista e non necessariamente uno “sparone” (come è giusto che sia), ma senza rinunciare a chicche che la differenzino. Così ci piacciono il faro full led a uovo con DRL perimetrale e gli indicatori di direzione che corrono sotto il serbatoio con funzione swipe che fa tanto Audi (per chi non lo sapesse, è la casa madre di Ducati). Anche il serbatoio convince, dinamico, scolpito e ispirato quanto basta alla prima M900. Come le staffe per le pedane passeggero, un tutt’uno con quelle del pilota.
Rispetto alla M821, che va a sostituire, la nuova “M” è anche più corta, stretta di fianchi e compatta, sia nella posizione di guida sia nelle quote ciclistiche leggermente riviste a favore di una maggiore agilità (su tutti spicca l’interasse di 1.474 mm contro i 1.480 della M821). Cresce poi l’angolo di sterzata, mentre la sella sella è a 820 mm (ma è disponibile il kit molle per portarla a 775).
Di elettronica ce n’è quanta ne volete, tutta gestita dall’ormai immancabile piattaforma inerziale a 6 assi: così ecco l’ABS e il controllo di trazione (DTC) di tipo cornering, l’antimpennata (DWC), il quickshifter Up/Down e il sistema di partenza lanciato, oltre a 3 riding mode. La grafica della strumentazione riprende lo schema usato per la la Panigale V4, con il contagiri in evidenza che fa tanto racing.
In mezzo a tutte queste novità una costante c’è, il prezzo: 11.290 euro, cento euro tondi in più. Non male