L’ARGENTINO EMILIO SCOTTO È STATO L’ULTIMO GRANDE VIAGGIATORE: LA SUA AVVENTURA COMINCIATA NELL’85 E DURATA 10 ANNI RACCHIUDE UNA VITA DA ROMANZO. SCOTTO HA ATTRAVERSATO 214 PAESI, SI È SPOSATO NEL TAJ MAHAL, È FUGGITO DAL CONGO E A NAPOLI È STATO OSPITE DI MARADONA
DI RICCARDO CASARINI
«Ho sempre anelato al giro del mondo. O meglio, andare in tutti quei Paesi in cui c’è un essere umano». Questo dice di sé Emilio Scotto, Argentino di Olivos. Queste erano le sue più grandi ragioni quando a trent’anni compiuti, con 300 dollari di risparmi e una Honda Goldwing 1.100 Interstate sotto al sedere, decise di partire verso il nord del continente americano. Era il 14 gennaio 1985, piena estate argentina. Esperienze pregresse zero, disponibilità di informazioni scarsa, meta finale sconosciuta. Quindi Uruguay, Brasile e poi un tratto nella foresta amazzonica, a causa della mancanza di vere connessioni stradali con il Venezuela. Con sé soltanto un permesso di guida internazionale con scadenza a 12 mesi e la speranza di incontrare persone disponibili dargli una mano se fosse stato necessario. Così gli Stati Uniti. Dove una TV locale newyorkese usò quella storia per una trasmissione, romanzando un poco e battezzando la sua Honda “Princesa Negra”. Vicenda che animò gli spettatori a raccogliere dei fondi per far proseguire Emilio, il quale trovò persino una compagnia aerea disposta a offrirgli una traversata atlantica. Direzione Europa.
Scotto è partito nell’85 da Buenos Aires con 300 dollari in tasca
Nord, Sud, Ovest, Est. Letteralmente.
Scotto arrivò quindi in Germania, dove gli suggerirono di muovere verso sud per non andare incontro a un inverno rigido. Scese quindi in Italia, fino a Napoli, dove riuscì a incontrare anche Diego “el diez”, che di buon cuore gli offrì cinque giorni pagati in una lussuosa suite (convertiti da Emilio in un mese in ostello). Nel 1987 la Spagna, dove riuscì a far fruttare le immagini scattate durante il viaggio, scrivendo fotocronache per una rivista. Proseguì poi verso l’Africa, ancora sud. Due anni per girarla praticamente da cima a fondo. In mezzo, una febbre malarica che quasi lo uccide, la fuga dal Congo in piena guerra nell’89 e l’imbarco su un mercantile in Somalia per far ritorno in Europa, subendo pure un’aggressione pirata. In Spagna ancora, per una sistemata alla Princesa, poi di nuovo a fionda, verso l’Asia. In India Emilio si ricongiunge alla sua ragazza, Monìca Pino, che aveva lasciato in Argentina del tipo “vado un attimo a comprare le sigarette”. Però Scotto si fa perdonare e la sposa nientemeno che al Taj Mahal (“non ho trovato tabaccherie aperte!” ha detto, con una certa ironia). Insieme proseguirono verso le isole del Pacifico, fecero meta finale a Los Angeles e ripartirono verso Est. Oppure verso Ovest, visto da quella prospettiva. Vabbé, verso il Giappone. Poi la Russia post guerra fredda e a tappe, su un ennesimo mercantile, Islanda, Groenlandia e Polo Nord. Solo dopo 9 anni, l’ultima discesa verso sud, stavolta verso casa. Passando però per il Caribe e per quegli Stati che non furono toccati alla partenza. 214 paesi in totale prima di ritornare in Argentina, entrando da Mendoza. «Alla dogana mi sequestrarono la moto. Avevo solo un permesso di uscita annuale, ma erano passati dieci anni».
Le “confortevoli” piste amazzoni, direzione Venezuela. Notare l’elevato tasso tecnico e stilistico dell’abbigliamento. Grande Emilio Scotto.
Quel che so, è viaggiare
Il 2 aprile 1995, dopo essere riuscito a riscattare la sua GoldWing, Emilio arrivò a Buenos Aires. Spenta la moto per un’ultima volta, arriva lo sconforto: «Che faccio ora? Ho 41 anni, ma non so fare altro che viaggiare». Una domanda che contiene in sé una parziale risposta, che Scotto colse dopo alcuni mesi. Tornò allora negli Stati Uniti, dove iniziò a organizzare viaggi in comitiva dallo spirito autentico. Che poi è quello che Emilio fa ancora oggi, dividendosi con Monìca tra Argentina, USA e altre mete. Nel 2002 a Scotto venne assegnato un Guinness World Record per i suoi 735.000 Km percorsi in quell’unico, impressionante, viaggio. Una cosa che, a rifarla oggi con il supporto di GPS e l’attenzione potenziale derivata dai social network, sarebbe forse meno complicata, ma certamente meno avventurosa. Non credete?