FREESTYLE, STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

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LA DISCIPLINA PIÙ INDISCIPLINATA, CHE HA ORIGINE NEL DISAGIO E NELLE RIBELLIONI ANNI 90, NELLA MUSICA PUNK HARDCORE E NELLO “SPACCIO” DI VHS PIRATA. CONTROCULTURA E ADRENALINA

di Riccardo Casarini

 

Parental Advisory! La copertina spelacchiata della prima uscita di CDD

Campioni del motocross USA, anonimi adrenalino-dipendenti, ragazzini con le facce bianche e rosse da chierichetti di provincia e teppistelli senza regole alla Beavis&Butthead. Il Freestyle ha attirato personaggi di ogni sorta e in pochi anni ha vissuto un’evoluzione e una spinta innovatrice sconosciute ad altre discipline. Discusso, avversato, amato; attira ma al tempo stesso divide per la sua intrinseca pericolosità, alla quale non esiste rimedio (anche se con le protezioni si sono fatti importanti passi avanti). Piaccia o meno, di certo il freestye è un fenomeno di controcultura. Come la musica, la letteratura, la politica e ogni arte, anche il motorsport conosce le sue scissioni e i suoi bastian contrari, che trasgredendo alcune regole comuni inventano qualcosa di nuovo. In questo senso, per quanto recente, la nascita del Freestyle ha già assunto il fascino delle cose un po’ retró. Come la qualità dei nastri VHS su cui iniziarono a circolare le prime acrobazie di questi riders, videocassette spesso piratate o comunque di scarsa qualità, in voga nella seconda metà dei ‘90, tra gli sbarbati che qui in Europa non rinunciavano per nessuna ragione ai capelli da gabber.

 

 

 

1997, LA Coliseum. Deegan scaraventa in aria la sua moto dopo aver vinto la gara

Un (docu)film già visto…
Risale a pochi anni fa (2016) l’uscita su Netflix Italia di Unchained, documentario sul freestyle riding che racconta storie e protagonisti di altre pellicole, un po’ più grezze e primitive: i Crusty Demons of Dirt, la serie che è stata il vero volano per la diffusione del MX Freestyle; figlia dell’intuizione di John Freeman e Dana Nicholson, due produttori che nel 1995 si fecero la strana idea di seguire campioni del calibro di Jeremy McGrath e Jeff Emig durante il loro tempo libero in sella, nel deserto californiano.
Filmati che rappresentarono il “B side” del professionismo, quella parte nascosta, lontana da vincoli con gli sponsor, da interviste serie, dai contratti con i team. Pillole da 30 minuti con SuperMac e Jeff che fanno siparietti divertenti, ascoltano musica martellante e saltano dune di sabbia nei modi più assurdi e azzardati. Insieme a loro, sconosciuti totali con manie al limite dell’autolesionismo come Seth Enslow, che al pari del calabrone del celebre aforisma non sa di non poter volare così alto (non è un fenomeno del Supercross), ma ci prova lo stesso sfidando le dune di Dumont finendo col farsi un male bestia. Tutto filmato, schianti e dolori compresi.
Il risultato? Centinaia di migliaia di copie a ruba in tutto il mondo, la richiesta di sempre nuovi video e le case produttrici incazzate come delle bisce, decise a non farsi rovinare la reputazione da un gruppo di disgraziati. Ovviamente non ci sono riuscite.

 

 

A 16 anni c’era chi provava a impennare il 125. Poi c’era Travis Pastrana

Crusty Demons, 2 Tempi e showbiz
Alla congrega si aggiunge poi nuova gente, come Travis Pastrana, all’epoca adolescente promessa del Supercross con la faccia d’angelo. Travis incontra per caso la troupe di CDD in Florida e, supplicando i genitori, chiede di affrontare la rampa che stanno preparando su un laghetto pieno di alligatori. Quale buona madre americana direbbe no? Telecamere accese, Travis stacca e insaporisce il salto con un trick, pietrificando i presenti. Così giovane, pulito e diverso dagli altri, ma così talentuoso, già posseduto dal demone! Intanto pure i circuiti veri, quelli seri delle gare, si contaminano di follia. Brian Deegan, nel ’97 alla prima vittoria in carriera, arriva sul traguardo scagliando la moto e atterrando in piedi, esultante. Un balordo secondo gli standard, un genio secondo la crew dei Crusty Demons, che lo ingaggia. In quanto a rivali con un piede nel motocross e uno nel freeride, Pastrana e Deegan scardinano definitivamente lo schema, con buona pace di costruttori e AMA! Ormai è tutto uno show imbastardito… e lo spettacolo paga, vale soldi. Lo sanno bene quelli dell’emittente ESPN che, dopo aver provato un format pilota, inseriscono il Freestyle negli X-Games 1999, di fatto ertificandolo come un vero e proprio sport. Da lì non si tornerà più indietro, se non per prendere la rincorsa e chiudere dei backflip

 

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