TORNA LA SUZUKI KATANA E PER MOLTI MOTOCICLISTI È UN TUFFO NEL PASSATO. MONTA IL PODEROSO QUATTRO-IN-LINEA DA 1.000 CC DELLA GSX-R DEL 2005, AGGIORNATO CON IL CONTROLLO DI TRAZIONE CHE TIENE A BADA LA STRARIPANTE COPPIA MOTRICE.
Non tutti ma buona parte dei lettori di Riders se la ricordano, ne sono sicuro. Era il 1981 quando Suzuki sfoderò la Katana 1100, una moto potente che catturava lo sguardo per il suo design futuristico, caratterizzato da spigoli taglienti, figli di accurati studi aerodinamici. Usciva dagli schemi, questo è certo: come capita in questi casi, divise i pareri degli appassionati ma la maggioranza rimase incantata da questa sport touring che pose alcune delle basi per la nascita, nel 1986, della serie GSX-R, nientemeno.
La Suzuki Katana partecipò da protagonista a moltissime gare di alto livello e di certo lasciò il segno nel design motociclistico, visto che per ben due volte la versione stradale venne riproposta in edizioni limitate, nel 1990 e nel 1991. I designer di tutto il Mondo sono tuttora ispirati da questa Suzuki e Rodolfo Frascoli che dal 1987 ha firmato i bozzetti di stile di alcune delle moto più belle prodotte da Marchi italiani e del Sol Levante (per farla proprio breve…), aveva impresse in mente le linee affilate e uniche della Katana degli Anni 80, quando disegnò uno schizzo ad esse ispirate. Una bozza che, evidentemente, ha colpito al cuore visto che dopo qualche tempo, ecco la riedizione della Katana del XX1 Secolo, al Salone della Moto Intermot 2018.
L’anno successivo, in Italia, la presentazione del modello definitivo, in occasione della Milano Design Week 2019.
Un contesto scelto per enfatizzare le scelte di stile fuori dal tempo della nuova Suzuki.
Come allora, anche oggi la Katana è una sport touring di grossa cilindrata, semi carenata (una tipologia di moto molto diffusa negli Anni 80 e 90) e destinata
a un uso molto vario, proprio perché nessuna sua caratteristica è portata all’estremo, come confermato dal nostro test.
Il motore è quello della super sportiva Suzuki GSX-R1000 del 2005 (serie K5, nella nomenclatura Suzuki), adattato al nuovo modello e arricchito con soluzioni tecniche di ultima generazione, come il controllo di trazione regolabile su tre livelli e il dispositivo Easy Start System.
Il quattro in linea da 999 cc eroga 150 CV a 10.000 giri e 108 Nm di coppia a 9.500 giri, valori ben differenti da quelli espressi dallo stesso motore in configurazione GSX-R K5: 177 CV a 11.00 giri e 17 Nm a 9.000 giri. Sono numeri che indicano quanto i motoristi giapponesi abbiano lavorato, rinunciando alla potenza esplosiva in favore dell’erogazione fluida e gestibile. Il 16 valvole è alloggiato nel telaio in alluminio a doppia trave, abbinato al forcellone della GSX-R 2016.
Le forcella rovesciata da 43 mm e il monoammortizzatore centrale Kayaba sono di estrazione sportiva e pluriregolabili. Abbinata italo-giapponese per il pregiato impianto frenante: Brembo fornisce il doppio disco da 310 mm e le pinze ad attacco radiale, Nissin la pinza che lavora il disco da 250 mm al retrotreno. L’ho provata prima in città e poi in periferia, per per passare ai rettilinei dell’autostrada, sui quali ho viaggiato abbastanza da affaticarmi, per la protezione aerodinamica ai minimi termini. In sella si sta comodi, ben inseriti nella moto. Il manubrio alto e largo (agli antipodi del “due pezzi” basso dell’originale) permette di controllare la Katana molto bene su ogni percorso, di divertirsi in stile fun-bike e… prendere un bel po’ d’aria addosso, sul veloce. Scotto da pagare, per ottenere le linee basse della Katana. La strumentazione ha fondo nero e numeri bianchi, un bel cruscotto digitale classico. L’altezza della sella è di 825 mm, perfetta per chi è alto 170 cm, mentre la posizione delle pedane è sportiveggiante, arretrata ma non troppo.
Il motore è un portento di prestazioni alla vecchia maniera che ho molto apprezzato: solo l’attacco del gas nell’apri-chiudi è un po’ troppo brusco. Quando mi riferisco alle performance “vecchia maniera” intendo la classica progressione dei quattro-in-linea: la spinta tenue ai bassi regimi poi cresce in modo esponenziale con il salire dei giri ed esplode in tutta la sua esuberanza agli alti. Bellissimo farlo urlare nei pressi del limitatore, mentre il traction control, seppur di semplice logica, preserva la salute di chi ha la “mano pesante”…
Ai medi è fluido e quindi molto piacevole nell’uso touring, ma il suo dna rimane comunque sportivo. L’assetto della moto, così come viene consegnata di serie, è coerente con l’indole e quindi premia la prestazione a scapito del comfort, tanto è vero che sui fondi imperfetti soffre un po’ ma quando l’asfalto si fa bello… ciao. Katana diventa una spada di nome e di fatto fra le curve, mentre anche guidandola cattiva difficilmente la si mette in crisi, sia riferendosi alla frenata e tantomeno alle sospensioni. Moto per duri e puri, insomma… nel senso nostalgico dei termini, ovviamente. Sia ben chiaro che agendo sulle regolazioni idrauliche e di precarico molla si possono comunque personalizzare il comportamento e le reazioni della moto, anche rendendola più morbida e tranquilla. La trasmissione, in particolare il cambio, lavora in modo fluido e silenzioso preferibilmente nella guida sportiva, ovvero ai regimi medio alti, proprio come una purosangue a cui non piace andare per la leggera e a spasso.
Insomma la Katana non è una moto digitale ma è analogica e, tutto sommato, per quanto mi riguarda questo è parte del suo fascino, valore che aggiungo alla linea amarcord. Non è facile, in definitiva, assegnare un segmento alla nuova Katana, che ha prestazioni da bomba sportiva con alcuni aspetti caratteriali più equiparabili a una modern classic non troppo affine alla tecnologia estrema. In pratica, è un prodotto unico e decisamente originale. Non siete d’accordo? Trovate una qualsiasi moto che le assomigli, escludendo la sua progenitrice e sarò pronto a rimangiarmi quel che ho detto.