Clifford Vaughs, il re dei chopper

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Emarginato a lungo perché non-bianco, Clifford Vaughs ha ideato i chopper più famosi del cinema, quelli di Easy Rider. Ecco la sua storia

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Prima di tutto creatore di moto leggendarie, ma anche attivista per i diritti dei neri, filmaker, giornalista. Clifford Vaughs se n’è andato il 2 luglio scorso, a 79 anni. Emarginato a lungo perché non-bianco, ha ideato, con Ben Hardy, i chopper più famosi della storia del cinema, quelli che portano a spasso Peter Fonda e Dennis Hopper in Easy Rider. Prima e dopo Captain America, la sua vita è stata tutta un film.

Silva Fedrigo; Archivio privato Paul d’Orléans

Prima le moto

Clifford “Sonny” Vaughs non era un tipo facile, neppure per gli amici. Lo descrivevano come provocatorio, troppo radical per il gruppo, spericolato, volontariamente sempre al centro del mirino. John Lewis, uno dei leader della grande marcia di Washington del 1963, che non era certo uno tenero, si rifiutò di camminargli accanto durante un corteo a Selma (Alabama).  Cliff faceva paura anche solo a stargli vicino. Era un costruttore di chopper e un attivista dei diritti dei neri. In quest’ordine.

«Non ho partecipato alla grande marcia su Washington; ero troppo impegnato a mettere insieme un chopper nel mio cortile», raccontò una volta. Se n’è andato il 2 luglio scorso, a 72 anni, portandosi appresso i segreti di Easy Rider, molto più di un film.

Ogni volta che si apre una crepa nell’equazione motociclista uguale maschio bianco occidentale, le mie antenne fibrillano. La storia che vado a raccontare è una di queste crepe, anzi, un crepaccio.

Bianco e nero

È il settembre del 2015, sono a New York. Seguo la terza edizione del Motorcycle Film Festival per la Rodaggio Film; vengo a sapere che Cliff Vaughs e Larry Markus, due dei costruttori delle moto di Easy Rider, saranno gli ospiti d’onore di questa edizione. La notizia ha il sapore di una rivelazione, perché i due sono neri. In quanto non-bianchi nel mondo delle moto, sono rimasti per decenni nel cono d’ombra della storia.

Paul d’Orleans, ideatore di The Vintagent, blog di riferimento per l’archeologia delle due ruote, alle storie controverse è abituato. I chopper di Easy Rider rientrano nella nebulosa mitologica che avvolge il film. Paul ci ha messo anni per attraversarla e tornare indietro avendo in tasca qualcosa che assomigliasse a una verità, poi condensata in uno dei capitoli del suo ultimo libro, The Chopper. The Real Story (Gestalten editore). Invitare Cliff e Larry al festival, con cui Paul collabora, è il modo per restituire questa verità alla comunità motociclistica e alla storia del cinema.

Clifford Vaughs

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Ben Hardy

Ma quando e come si è aperta la crepa? Nel 2009, a Los Angeles, nella mostra Black Chrome, dedicata al contributo di customizzatori e moto­club neri alla cultura motociclistica statunitense, si sono viste, tra le tante, alcune immagini di Ben Hardy, uno dei costruttori di chopper più innovativi della scena californiana degli anni ’50 e ’60. È lui che ha realizzato il Captain America di Peter Fonda e l’altro chopper guidato da Dennis Hopper.

Della notizia, buttata lì tra una didascalia e l’altra, pochissimi sono al corrente. Hardy è morto nel 2003 e nessuno potrà mai tributargli il giusto riconoscimento per aver creato le moto che hanno incarnato il sogno americano e, al contempo, la sua disintegrazione.

Ma Hardy non è il solo afroamericano associato alle moto di Easy Rider. Nel 2006, un programma dedicato alla storia del chopper, in onda su Discovery Channel, scova a Panama Clifford Vaughs, su una barca a vela che ormai da quarant’anni è la sua casa.

Cliff Vaughs nasce a Boston nel 1937

È povero in canna, ma è uno studente brillante. Dopo la laurea, parte sulla sua Triumph TR2 per Mexico City, dove prosegue gli studi e ottiene il master. Nei primi anni ’60 è a Los Angeles, catapultato nel tumultuoso mondo delle moto custom e delle battaglie per i diritti civili dei neri. Nel 1961 incontra Ben Hardy, cui si rivolge per la manutenzione della sua vecchia Knucklehead del 1947.

Negli anni seguenti impara da lui tutto quello che c’è da sapere sull’arte del chopper, affermazione di libertà ed espressione personale comprese. È sempre a L.A. che Cliff entra a far parte dei Chosen Few, primo club motociclistico interrazziale d’America, contribuendo a fondare un chapter a Hollywood. Vestirà orgogliosamente i colori del club per tutta la vita.

Clifford Vaughs

La vita da attivista

Cliff è poi reclutato dallo Student Nonviolent Coordinating Committee, e di lì in poi la sua agenda è tutta picchetti e sit-in. Non molla la moto neanche nelle attività di agitatore politico. Nel 1964 si spinge a sud, Alabama e Arkansas, per promuovere il voto tra i lavoratori neri delle aree rurali. Con il suo chopper visita fattorie in cui non sembra che la schiavitù sia stata abolita.

«Avevo il terrore», raccontò più tardi, «di essere inseguito dai proprietari terrieri bianchi armati di fucile. Forse ero un ingenuo, ma andai col chopper in Alabama perché volevo essere un esempio per i neri del Sud. Un uomo nero, libero, in sella alla propria motocicletta».

Nel 1965 Cliff gira un documentario (andato perduto) sull’ascesa del Black Power negli Stati del Sud; c’erano interviste a Martin Luther King e ad altri leader che hanno fatto la storia del movimento nero. In questo periodo, Vaughs lavora anche per la televisione e per un’emittente radiofonica di Los Angeles, dopo aver vinto una causa contro il sindacato dei cameraman che rifiutava di iscrivere un nero.

Clifford Vaughs incontra Peter Fonda

In qualità di reporter, nel 1966 conosce Peter Fonda, in tribunale; l’attore vi è stato portato per possesso di marijuana. I processi a carico dei consumatori di droghe leggere sono in vertiginoso aumento e Peter è già una celebrità. I due scoprono di abitare entrambi a West Hollywood, e di avere in comune l’amore per le motociclette e la loro customizzazione.

Qualche giorno dopo Peter si presenta a casa di Cliff con Dennis Hopper. Hanno in mente un film che ha per protagonisti due amici in viaggio attraverso gli States, una sorta di odissea western con le moto al posto dei cavalli. Ne segue un brainstorming febbrile. È Cliff a proporre subito come titolo Easy Rider (secondo la versione ufficiale, venne in mente a Terry Southern, lo sceneggiatore che, in realtà, entrerà nel progetto solo in un secondo momento).

L’ispirazione viene dalla canzone I Wonder Where My Easy Riders Gone, interpretata da Mae West nel film del 1933 Lady Lou – La donna fatale. Un’espressione dan­natamente efficace. Easy Rider indica l’uomo di una prostituta che può contare sulla scopata facile. Nel caso del film, la prostituta è la libertà americana: è per tutti, ma è una falsa conquista. La disillusione è già nell’aria.

Easy Rider

L’idea iniziale prende corpo. I tre costituiscono una società, la Pando, e Cliff riceve l’incarico di produttore associato. Oltre a realizzare le moto, dovrà occuparsi dei costumi, della direzione artistica e dell’assunzione delle maestranze. Tra queste, anche Larry Markus, meccanico e amico, che riparerà le moto dei protagonisti e costruirà due copie di sicurezza. Cliff offre anche diversi spunti per la sceneggiatura.

Il brutale finale del film ripercorre un episodio vissuto da Vaughs in Arkansas; c’era andato per lo Student Nonviolent Coordinating Committee. In sella al suo chopper in compagnia di Iris, un’amica bianca, Cliff incrocia un pick-up che marcia nella direzione opposta. Improvvisamente, il mezzo fa una brusca inversione e da un finestrino parte un colpo di arma da fuoco, che li manca di poco. L’inseguimento, per fortuna, finisce lì. Ma la libertà per un biker nero è tutto tranne che easy.

«Nella sceneggiatura originale di Easy Rider», ha raccontato Cliff in un’intervista del 1968, «c’era una scena che mirava a smontare alcuni stereotipi che riguardavano i club di biker bianchi e neri. Mi risulta che l’esclusione razziale sia una faccenda dei motoclub bianchi. Tra i club neri ce ne sono alcuni che praticano l’integrazione, i Chosen Few sono un esempio».

Scene tagliate

Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper) avrebbero dovuto avere un guasto alle moto nel mezzo del nulla e lì incontrare un gruppo di 50 biker neri. Che bomba! Cliff tratteggia come avrebbe dovuto essere la scena: «I protagonisti sono tesi, spaventati, ma tutto fila liscio come l’olio. I motociclisti neri gli chiedono semplicemente se serve loro un po’ di benzina. Fico, no? Per me è credibile, perché l’ho visto succe­dere nella realtà».

Nei testi ufficiali sulla lavorazione del film risulta che questa fu una delle numerose scene tagliate; la pellicola in mano a Hopper era diventata ipertrofica, ingestibile, con una durata superiore alle quattro ore.

Le moto di Easy Rider

Il punto di partenza per la progettazione della moto di Wyatt sembra sia stato uno schizzo di Peter Fonda; fu però Cliff a sviluppare il progetto e a portarlo a termine. Comprò all’asta per 500 dollari quattro Harley Hydra Glide del 1949 e del 1952 appartenute alla polizia di Los Angeles e coinvolse Ben Hardy nel lavoro. I telai furono modificati drasticamente, fino a ottenere forcelle inclinate di 45 gradi, allungate in modo estremo, come i manubri. E poi, una pioggia di cromature.

Fonda pretese che il serbatoio a goccia ricordasse lo scudo di Captain America. Cliff mo­bilitò Dean Lanza, il decoratore di chopper più hip dell’ambiente.
«Era una brutta bestia da guidare, ma era una meraviglia per gli occhi!», ebbe poi a dire Fonda.

Di lì a poco le cose precipitarono. Subito dopo le allucinate riprese a New Orleans, Cliff e buona parte della crew furono licenziati. A quanto pare, una decisione di Hopper. Era aggressivo con tutti, Peter Fonda incluso, e in preda a ogni sorta di delirio. Forse ebbero un peso anche i nuovi produttori, subentrati con la Columbia Pictures per sanare una situazione economica fuori controllo, con spese esorbitanti per la pellicola perché Hopper non riusciva a smettere di filmare.

Cliff collaborò ancora con Fonda, nel 1973, dirigendo Not So Easy, cortometraggio co-finanziato dalla Harley Davidson sul tema della sicu­rezza stradale in moto, avanti di decenni su un tema ignorato a quei tempi. Nel film, che è facile trovare online, compare, oltre a un bellissimo Vaughs e un laconico Peter Fonda, anche lo stuntman Evel Knievel, impegnato in uno dei suoi assurdi salti al Coliseum. Un tipo che non imma­gineresti a dare consigli in fatto di guida sicura.

Clifford Vaughs

Un ritratto di Clifford Vaughs scattato da Paul d’Orleans nel 2014

La fuga di Clifford Vaughs

Nel 1974, il clima di razzismo e le violenze subite anche nell’ambiente di lavoro convinsero Cliff a lasciare gli Stati Uniti a bordo di Amistad, una barca a vela. Non si capì mai se la comprò o se la prese a un amico con la promessa di pagargliela più tardi. Veleggiò nel Mar dei Caraibi per i successivi 40 anni, trasportando emigranti onduregni in fuga, droga, a volte armi. Clifford finì in prigione svariate volte, fu rapinato e buttato fuori bordo dai pirati, quelli veri.

Nel 2014 Fonda si cosparse il capo di cenere in una lettera, pubblicata anche da Paul d’Orleans sul suo sito. Chiedeva scusa a Cliff per il mancato riconoscimento del lavoro suo e di Ben Hardy. Alcune testate di settore si appassionarono alla storia.

Nello stesso anno Clifford Vaughs rientrò negli Usa e fu invitato a certificare l’autenticità dell’ultimo esemplare esistente di Captain America, messo all’asta. Cliff negò si trattasse della moto realizzata con Ben Hardy, distrutta nella scena finale (le altre tre furono rubate da un magazzino alla fine delle riprese). Il chopper fu comunque aggiudicato per oltre 1 milione di dollari.

A New York, l’anno scorso, Clifford Vaughs mi raccontò di non avere mai visto Easy Rider. Lo vide per la prima volta a 78 anni, al festival, nella sala di un club di Brooklyn, gremita di motociclisti.

«Poco male», fu il suo commento. «Mi sono divertito a costruire queste moto, ma in fondo è stato solo un mese nell’avventura della mia vita». Ride on, Cliff, ride on.

Silva Fedrigo, autrice dell’articolo, è con Alessandro Marotto fondatrice di Rodaggio Film, una casa di distribuzione che scova e promuove in Italia film indipendenti dedicati alla cultura delle due ruote. rodaggiofilm.com

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