Il primo weekend di ritrovata libertà ha portato sulle strade anche motociclisti che, spinti dall’entusiasmo, sono andati ben oltre i propri limiti tecnici. Ma bisogna darsi una regolata, perché andare forte non significa essere capaci e, soprattutto, è molto pericoloso
Articolo di Marco Masetti
Le raccomandazioni fatte a gente con l’ormone alto, per utilizzare una definizione oggi in voga, sono una delle cose più inutili mai concepite dalla mente umana. Il millenario confronto tra saggio e sciocco è senza speranza. Chi sa deve piegare le corna, mentre la passione porta l’uomo a perdersi. Dalla mitologia alla letteratura con questo tema si possono riempire biblioteche sconfinate.
Vado drammaticamente al dunque: quando vedo una moto semidistrutta a terra con un elicottero poco distante che si sta alzando in volo, o un’ambulanza che parte verso un codice rosso ci sto male. Perché quel momento, il soccorso o, peggio, il drappo bianco, segnalano non la fine di un’esperienza, ma l’inizio di una fase difficile dalla quale non è detto che si riesca a uscire.
Chi si è rotto qualche osso sa benissimo quanto tempo e quanti soldi ci vogliano per ritornare a camminare come prima o a ritrovare un livello accettabile di funzionamento del nostro corpo. Certo, si può risorgere, come ha fatto Emiliano Malagoli che è diventato l’anima di Diversamente Disabili, un gruppo che va in moto, corre e si diverte, anche se con… qualche pezzo in meno. Ma ci vogliono fortuna, coraggio, carattere da vendere, riserve quasi infinite di energia e autostima. Questo se si ha fortuna, altrimenti… Buona, mi fermo qui, ma potrei farvi piangere, come ho pianto io dopo essere stato a Montecatone, a pochi chilometri da Imola, nel centro dove viene ricoverato chi ha subito fratture spinali.
Datevi una regolata, cosa siete, impazziti?
Però non mi fermo nella meritoria opera di sensibilizzazione: datevi una regolata, cosa siete, impazziti? Le notizie lette e viste dopo il primo weekend di libertà, quando cioè si è tornati in moto dopo il lockdown, sono inquietanti, le cifre degne di una guerra. Morti, feriti, incidenti a raffica, con le moto, purtroppo, grandi protagoniste. C’erano troppa compressione, troppa voglia di salire in sella, troppa voglia di spalancare il gas. E il troppo, si sa, stroppia.
Ora capisco bene che il periodo di stop è stato lungo e ha bloccato gite, uscite, giri con la moto nuova o le nuove gomme abbinate alle sospensioni appena rifatte. Capisco la voglia di stare assieme e di tornare a vivere, tutte cose normali, umanissime e comprensibili. Come lo è il piacere di bersi un bicchiere con gli amici. Però la misura è scappata di mano, come se il nostro motore si fosse ritrovato con il rapporto di compressione raddoppiato. Ed è esploso.
Abbiamo esagerato e non lo dico così, perché l’ho sentito in qualche tg. Sabato ho tentato di farmi un giretto su una bella strada di montagna. Ho mollato dopo pochi chilometri e una serie di incroci con gente che era a dir poco ben oltre i propri limiti tecnici. Perché andare forte non significa essere capaci. Il coraggio non riesce a sopperire alla mancanza di tecnica e, se vi fidate di uno che da una vita vive in mezzo ai piloti, quelli veri, anche ciò che sembra essere tutto cuore e poco cervello in realtà ha un controllo della situazione inimmaginabile. E un senso del limite che difficilmente un umano non ha. In più, per andare davvero forte il pilota si allena seriamente, ha un mezzo controllato mille volte e corre in pista. Senza auto, corriere, pensionati, cinghiali, frane e smottamenti, chiazze di umidità, gasolio sparso per strada.
Niente da fare: dopo due mesi a casa, e non a Stalingrado, siamo già incontrollabili. Vittime di arroganza e ignoranza, due parole che stanno cambiando significato. Da negativo a positivo, segno che il cervello ce lo siamo davvero bevuti. Come l’alcol, che è oramai una bella fetta dell’apporto calorico nella dieta moderna. Se appena aprono le gabbie si deve bere fino a perdere i sensi, l’estetica e il controllo degli sfinteri, vuol dire ci sono problemi di dipendenza e non solo la voglia di ridere in compagnia.
Cari amici, cercate di volervi un po’ bene, magari emancipandovi dall’incubo delle passioni, come cantava un musicista. Sante parole, ascoltatele, magari ascoltate anche le mie. Ché di cazzate in moto, e non solo, ne ho fatte tante e ho imparato che la teoria che vuole la sfiga dotata di mira incredibile è vera. E poi, egoisticamente, ci tengo ai miei lettori!
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