Sì, faccio sciopero: contro il pregiudizio becero, contro l’ignoranza ferina, contro chi scaglia croci senza sapere nulla delle moto, dei piloti e nemmeno del sottoscritto. Preferite l’autocensura?
Articolo di Marco Masetti
Censura, una brutta parola che evoca regimi dittatoriali che ci ricorda che la libertà di opinione e di stampa è stata una conquista sofferta e dovuta ad un percorso lunghissimo, impervio e costellato di vittime e repressione (altra brutta parola). Ricordiamo anche che noi siamo molto fortunati, perché in buona parte del mondo esprimere le proprie idee può costare anni di carcere, torture, intimidazioni, plotoni d’esecuzione e, magari, qualche “punturina” di Polonio.
Però abbiamo scoperto, noi del “mondo libero”, che esistono nuove forme di censura che non vengono esercitate da un regime di ferro o da magistrati che appoggiano la parte avversa alle nostre idee. La censura siamo noi.
È terribile da dire, ma è esattamente così: il censore ha il tuo stesso nome, la tua stessa faccia e abita allo stesso indirizzo. Magari ha anche un cane che si chiama come il tuo. Il censore sei tu!
Avevo voglia di scrivere qualcosa su Rossi, perché la sua lunga carriera offre sempre spunti interessanti e chiavi di lettura. Specie se ne hai vissuto più o meno da vicino una buona parte. Ma non l’ho scritto. Non ho voglia di rispondere a gente che tira fuori simpatiche frasi tipo “giornalaio pennivendolo venduto”, senza sapere minimamente chi io sia o cosa abbia fatto nella mia lunga carriera. Non ho voglia di rispondere a gente che pensa che io faccia parte di una “casta” di privilegiati leccaculo. Non ho voglia di rispondere a gente che non riesce ad usare la H assieme al verbo avere, che scrive un’uomo con l’apostrofo, che non sa che la mia professione presenta uno sfruttamento della manodopera ai limiti del caporalato nei campi. Non ne ho voglia e quindi mi censuro. Peccato, magari sarebbe uscito qualcosa di interessante che terrò per me e per quelli con i quali parlo in amicizia o in famiglia. Mi sono censurato.
Sui social volevo raccontare un episodio che risale a tanti anni fa, una partita in cui Maradona, oramai a fine carriera e in condizioni non certo impeccabili, decise una partita con un guizzo che, dopo lustri, ho ancora impresso in mente. Poi ho letto i giudizi morali, la condanna per una vita dissoluta, per il talento sprecato, per la scarsa moralità. Non mi scandalizzo di questo, conosco bene come ragionano certe persone che condannano i metodi antidemocratici di Giulio Cesare e la vita folle di Michelangelo Merisi, usando come metro di paragone il presente e, purtroppo, la loro angusta visione della vita. Accostarsi o, peggio, giudicare l’arte, in base alla vita privata dell’artista, è uno dei più tonanti esempi di ottusità e un esercizio di stupidità che avrebbe affascinato anche Carlo Maria Cipolla.
Oramai fatico e quindi mi censuro, anche a parlare di questa o quella moto del passato più o meno recente, perché salta sempre fuori qualcuno che, dopo aver orecchiato qualche luogo comune, definisce “cancello”, “rutto” una moto che non conosce, che non ha mai posseduto o guidato. Ricordo con infinita tristezza un giovanotto che scagliava croci su una moto, elencando difetti tecnici e problematiche nell’uso. Gli rispondo cercando di far luce nella sua testa ottenebrata e, niente da fare, lui è sempre più deciso e aggressivo nei confronti dell’oggetto in questione. Gli spiego, con garbo, che quella moto è mia da una vita, che ci ho corso, che la conosco. Nulla da fare, la sua ignoranza ha i contorni dell’invincibilità.
Quindi mi censuro, come fanno tanti miei colleghi, di fronte all’aggressiva ignoranza di questa epoca, molto simile a quella di gente normale che acclamava sanguinosi dittatori e li definiva “guida della nostra vita”.
Detta in parole povere: mi censuro e sciopero contro gli ignoranti.