COver
Ogni cover di Riders ha la sua storia: e noi abbiamo deciso di raccontarvela. Così, racconteremo tutta la verità dietro le prime pagine. In questo caso, vi raccontiamo alcune “prime volte”
Alcune delle nostre copertine nascondono bizzarri bisticci di redazione. Soprattutto quelle legate a certe “prime volte”: la prima cover, ad esempio, ci ha tenuto svegli per notti intere. Ecco la sua storia.
LA NUMERO 1
Inutile dirlo, la nostra prima cover fu un parto. Dovevamo strillare all’Italia che esistevamo, chi eravamo e cosa volevamo dire. Problema da poco: chi eravamo non lo sapevamo nemmeno noi. In redazione c’era chi diceva che dovevamo mettere un sacco di nomi in cover; chi che dovevamo strillare ogni servizio perché il lettore doveva accorgersi della quantità di roba contenuta all’interno… Il risultato? Un caos. Molti titoli, con uno che spicca su tutti, quello su Cuba. Peccato che non era quello che dava la foto alla copertina. Vabbe’, dai: Ewan non se l’è mai presa…
LA PRIMA ILLUSTRAZIONE
Le copertine di Riders hanno sempre avuto diversi canoni: le celebrities (buuuuh), i piloti (yeah); le foto evocative (hanno sempre venduto bene), le moto tantaroba (hanno sempre venduto un botto). Mai, prima di questa, ci eravamo spinti a illustrare una cover. Ma le foto di Peter Fonda e Dennis Hopper in Easy Rider non convincevano nessuno: già viste… Allora che fare?
Cristiano Bottino, l’art director di allora insiste e la redazione alla fine gli va dietro. Ditemi quali sono gli elementi Riders della cultura americana e io ve li metto sul casco. Detto, fatto. La prima copertina illustrata di Riders eccola qua. Lo speciale USA è impreziosito da due chicche: l’intervista a Colin Edwards (roba rimasta nella storia) e il servizio sulle bici a scatto fisso di Los Angeles. Leggasi bene: anno 2009.
2009 IL PRIMO DEL T T
Io e il fotografo Matteo Cavadini eravamo disperati. Erano le nove di sera, nella campagna inglese fuori Caistor non si vedeva una beneamata, buio totale. Con un’auto a noleggio cercavamo l’officina di Guy Martin. Una volta trovata, il padre ci dà appuntamento per il giorno dopo alle sei del mattino. Noi alle 12 avevamo l’aereo di ritorno.
Ci svegliamo alle 5 e alle 6, puntuali, siamo lì. Vediamo il padre, vediamo il fratello. Ma Guy? Eravamo già pronti a sentirci dire che sarebbe arrivato con calma, figuriamoci: un pilota può mai alzarsi così presto? Manco il tempo di pensarlo ed ecco Guy, tazza di té (sudicia, ma sudicia sudicia) in mano e sorriso di chi nella vita fa quello che gli piace. Nel suo caso: riparatore di camion e pilota di gare stradali. Guy è il primo del Tourist Trophy a finire sulla cover di un maschile. (Moreno Pisto)
2010 LA PIÙ MIGLIORE ASSAI
Questa ci ha strappato il cuore. Barry come una rockstar morta troppo presto, meglio di una rockstar. La foto incontrò qualche resistenza, superata quasi subito (quel cerotto non copre troppo la faccia? Ma stai scherzando, è una bomba, è l’essenza della passione). Non è stato così per il punto esclamativo.
Sì, ridete pure: ma su quel punto esclamativo abbiamo discusso per giorni. Lo mettiamo o no? Meglio senza, facciamo i seri. No no, mettiamolo, serve, dà enfasi, è necessario. Altra diatriba da scannarsi alla macchinetta del caffè ha coinvolto lo strillo in alto: si può scrivere «la più migliore assai?». Ungaro e Pisto sostenevano che sì, si poteva e si doveva. Tutti gli altri no. I giornali non sono proprio luoghi democratici.
2013 LA PRIMA (E UNICA) SS
Una super sportiva in copertina di Riders? No dai, non scherziamo. Ma ne valeva la pena: la RC213V era la cosa più vicina alla moto di Marc Marquez da guidare in strada. La Honda tornava ai colori storici bianco, rosso e blu e pure a far sognare.
La RC213V è stata presentata su Riders e all’Eicma in contemporanea. Questa scelta non ha mai convinto fino in fondo molti della redazione. E poi quella scritta in giapponese… Ancora oggi non siamo sicuri che tra quei caratteri e la traduzione ci sia reale corrispondenza. In questo numero ha trovato spazio un’altra esclusiva: l’intervista al vicepresidente HRC Shuhei Nakamoto, fotografato per la prima volta sul divano della sua baita (con tanto di ciabattine da casa).