EDOARDO TABACCHI NON PASSA INOSSERVATO. APPARISCENTE E SELVAGGIO, È UN TATUATORE MOLTO QUOTATO CHE HA RIVOLUZIONATO LA SUA VITA PER SEGUIRE L’ISTINTO DI ARTISTA. INCONTRANDOLO È EMERSA UNA PERSONA CHE NON TI ASPETTI, MISTERIOSA E RISERVATA, CON L’INDOLE DA FAMILY MAN. OGGI LAVORA NELLO STUDIO AMANDA TOY TATTOO PARLOUR, DOVE SIAMO ANDATI A CONOSCERLO ASSIEME A BMW E JAMESON, IL WHISKEY IRLANDESE CHE HA COLTO IL SUO LATO PIÙ INTIMO
Le persone sensibili sono condannate a soffrire. Sentono e capiscono il mondo in modo acuto e vivono ogni esperienza in maniera amplificata portandosi dentro turbamenti che altri non colgono. Le persone sensibili provano una moltitudine di emozioni, anche contraddittorie, che a volte sfuggono a chi li circonda. Edoardo Tabacchi è un ragazzo di 31 anni che, di primo acchito, tutto sembra tranne una persona riflessiva e profonda: atteggiamento strafottente, capelli selvaggi, jeans strappati e tatuaggi su tutto il corpo. Una strana combinazione che lo rende attraente e desiderabile ma che, dietro all’apparenza da duro, cela una grande intelligenza emotiva. Ribelle ma introspettivo, con una velata malinconia che ne alimenta lo spirito creativo, Sir Edward – come lo chiamavano a scuola per i baffi da lord – è un tatuatore milanese molto apprezzato, che ha sempre seguito il cuore stravolgendo gli stereotipi.
Da dove arriva la passione per i tatuaggi?
«Risale a quando, da piccolo, passavo l’estate in Liguria, dove vedevo un signore anziano con i baffoni e un tatuaggio sulla spalla: lo immaginavo come un uomo vissuto con chissà quali storie da raccontare. Ne sono rimasto talmente colpito che, crescendo, ho maturato una passione sempre più forte per i tatuaggi e tutto ciò che esprimono».
Da piccolo disegnavi?
«In continuazione e ho scelto un percorso di studi artistici, dal liceo fino all’Istituto Europeo di Design. Dopodiché ho lavorato come grafico, ma mi sono reso conto che non era ciò che volevo fare».
Una persona creativa ha bisogno di esprimersi liberamente.
«Esatto, ero relegato a una scrivania davanti a due monitor fissi e odiavo il mio lavoro, quindi cercavo di concluderlo velocemente per poi disegnare tutto il resto del tempo. Preparavo schizzi su temi di ogni genere, era puro istinto. Facevo partire la penna e l’immagine veniva da sé».
Sei più creativo quando sei in una fase serena o quando ti senti inquieto?
«Quando ho tanti pensieri per la testa, che quindi esprimo su carta, anche perché mi è difficile stare calmo, sono iperattivo, dormo poco e non mi fermo mai. Le rare volte in cui mi prendo una pausa non riesco a fare niente. L’essere umano non è mai felice, soffre. Ma non è una cosa triste».
Che cosa ti manca per essere felice?
«Un sacco di cose. Innanzitutto una donna, poi uno studio mio».
Però sono tutte cose sulle quali puoi lavorare.
«Assolutamente. Comunque non sentirmi appagato è un aspetto positivo, perché mi porta alla costante ricerca di migliorarmi, è uno stimolo a raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. Di certo sono stato condizionato dagli eventi della mia vita: a 12 anni ho perso mio padre. Un’età particolare perché ero piccolo ma sufficientemente maturo per capire. È stata una perdita per la quale sia io che mio fratello abbiamo sofferto molto».
È stato un momento di svolta per te?
«Sicuramente ha enfatizzato il mio carattere emotivo: ho sempre sentito molto intensamente qualsiasi cosa mi sia successa nella vita. So di essere sensibile e penso che, essendo cresciuto con una donna dalla grande personalità, mia madre, che ci ha allevati da sola, ho assimilato molte caratteristiche femminili: rimugino tanto, sono ansioso, mi turbo facilmente…».
Hai sublimato la sofferenza tramite l’arte.
«È stato uno stimolo per sviluppare il lato artistico che mi ha trasmesso mia madre, un punto di riferimento fondamentale per me: da giovane era una restauratrice. In giro per casa c’erano sempre pezzi di affreschi, tele, articoli di settore che parlavano di lei… ho respirato arte fin da piccolissimo. L’immagine che ho sulla coscia è un disegno preparativo di un vecchio affresco che doveva restaurare e ha un valore affettivo molto forte. Tra l’altro arrivo da una tradizionale famiglia milanese e io sono la pecora nera, il ribelle: tatuaggi, donne, vita dissoluta, ma alla fine anche la mamma e i nonni hanno imparato ad apprezzarmi e sono fieri di me».
Da quanto tempo lavori da Amanda Toy Tattoo Parlour?
«Faccio il tatuatore dal 2012 e lavoro qui da tre mesi, ma è una situazione momentanea perché vorrei aprire uno studio tutto mio».
I tuoi tatuaggi sono formati da una linea sottile e sono privi di colore, molto delicati. Come mai questa scelta?
«Quando inizi ti fai un’idea della tendenza che vuoi seguire in base a quello che sai fare meglio e che ti piace, così lo proponi alle persone e, se ricevi un feedback positivo, significa che è la strada giusta. È stata l’esperienza a portarmi a seguire questo filone: un’interpretazione un po’ stilizzata di uno stile semirealistico. A livello di tecnica mi sono specializzato in tatuaggi dalla linea fine e leggera, quasi impercettibile, fatta solo di grigi e qualche sfumatura. Uso lo stesso ago per qualsiasi cosa. È molto sottile e sarebbe solo da linea, ma io lo utilizzo anche per le sfumature grattate. È diventato il mio tratto distintivo».
Sei tu che proponi un tatuaggio in base al significato che desiderano esprimere le persone o arrivano già con un’idea precisa?
«Preparo i disegni assieme ai clienti il giorno dell’appuntamento. Ci prediamo due o tre ore per realizzarlo e, se ci soddisfa, procediamo. Amo disegnare con loro e capire ciò che vogliono. Spesso mi raccontano una storia e quello che intendono comunicare, a volte non sanno che soggetti utilizzare così io, partendo dal concetto, propongo la forma adatta a quell’idea, che comunque scegliamo insieme. Vederli mentre si ammirano il tatuaggio e mi ringraziano è molto gratificante».
Le persone si tatuano per esorcizzare un dolore o celebrare un avvenimento importante, oppure per una questione estetica?
«Per svariati motivi. Oggi purtroppo molti lo fanno per motivi estetici, influenzati dai media e dai social; oppure abbracciano uno stile, un modello, un canone creato da altri, emulandolo con superficialità. Per fortuna c’è anche la categoria che riconosce il tatuaggio come una forma d’arte che, in quanto tale, è costituita da diverse correnti e diversi artisti, in cui ognuno può trovare la sua nicchia».
Che cosa esprimono i tuoi tatuaggi?
«Molti sono per mia madre, dall’affresco, all’ancora e tanti altri, come la passione per il mare. Con la mia famiglia vado da sempre in barca a vela in un’isoletta tra Corsica e Sardegna, un vero paradiso. Si capiscono molte cose di me dai tatuaggi. Per esempio l’aquila che esibisco sul petto è un animale forte che sa il fatto suo, abbastanza solitario ma che tuttavia vuole crearsi una famiglia. Inoltre rispecchia l’autorità del tatuatore, che in un certo senso ha il potere di marchiare le persone, una responsabilità non da poco. Ma è fondamentale anche una spiccata sensibilità per cogliere ciò che una persona vuole rappresentare attraverso la linea».
Che correnti artistiche prediligi?
«Sono stato molto ispirato dai dadaisti. Trovo geniale il modo in cui enfatizzavano la stravaganza e l’umorismo. Erano volutamente irrispettosi e ricercavano la libertà nella creatività utilizzando tutti i materiali e le forme disponibili. Apprezzo molto Salvador Dalì, un pittore abile e un virtuosissimo disegnatore, che aveva un modo unico di realizzare le immagini delle sue opere surrealiste. Poi sono estasiato dalla figura di Leonardo Da Vinci, un artista a tutto tondo di cui mi sono tatuato l’occhio sul palmo della mano».
Jameson che cosa ha visto in te?
«Oltre alla mia passione per il whiskey? – ride. Probabilmente il fatto che, pur arrivando da un contesto impostato, ho imboccato una strada completamente diversa da quella prevedibile. Per cui, forse, è stato questo che ha contraddistinto il mio percorso e la mia personalità. Anche se ciò ha significato allontanarmi da quelli che erano i desideri della mia famiglia».
Tuttavia sei rimasto molto legato a loro e ai valori familiari, quindi in fondo non sei così ribelle, hai solo espresso il tuo talento.
«Sì, infatti viaggio pochissimo perché lo scarso tempo libero che ho lo ritaglio per stare con i miei familiari o, comunque, per visitare l’Italia senza allontanarmi troppo. Trovo che il nostro Paese sia splendido e che valga la pena conoscerlo prima di esplorare luoghi stranieri».
Inoltre è ricco d’arte, quindi può essere una fonte d’ispirazione. In che modo viaggi?
«All’avventura. Non organizzo niente, prendo la macchina o la moto e vado. L’anno scorso io e mio fratello abbiamo fatto un viaggio on the road in auto con destinazione Puglia. Itinerario libero. Abbiamo girato nell’entroterra entrando in contatto con le persone del luogo. Io facevo le stories su Instagram e la gente mi scriveva: “Dai, passa anche di qua”».
Quindi sei conosciuto anche fuori Milano.
«Io per primo ne sono rimasto molto sorpreso».
La gente arriva anche da lontano per farsi tatuare da te?
«La maggior parte, parecchi anche dall’estero. Pensa che adesso ho un’attesa di un anno e ho dovuto chiudere le liste perché non riesco a gestire la mole di lavoro».
Sei cresciuto un po’ alla volta?
«In modo graduale e costante. Mi capita anche di tatuare personaggi celebri, che poi postano le foto sui social taggandomi. Questo mi permette di acquisire visibilità e crescere sempre di più, inoltre spesso i miei lavori vengono respostati da account di settore molto importanti e seguiti».
Credi che il tuo successo sia dovuto a un ritorno al tatuaggio semplice, discreto e non appariscente?
«Più che un ritorno secondo me è un punto di partenza. La gente inizia con tatuaggi piccolini, semplici e minimal. Lo scopo di noi tatuatori è diffondere la cultura del tatuaggio, che è molto ampia e variegata, con la quale ci si può sbizzarrire».
Le immagini piccole sono intime, danno l’idea di qualcosa che uno vuole tenere per sé.
«Infatti questo è un concetto che a me piace molto. Quando, invece, vedo che è finalizzato solo all’immagine mi scende la magia perché l’intenzione è solo voler apparire».
Forse a te si rivolge proprio il genere di clienti che è in sintonia con la tua sensibilità, che vuole imprimere su pelle un ricordo, un significato, un simbolo che appartenga a lui più che agli altri che lo vedranno.
«L’ho notato anch’io: le persone che tatuo sono molto profonde e mi raccontano le loro storie, a volte molto tristi. Cose pesanti che mi toccano molto psicologicamente, tanto che a volte, quando torno a casa la sera, non riesco a mangiare dal turbamento. Ci vorrebbe una formazione che ci prepari a sopportare tutte le emozioni da cui veniamo bombardati quotidianamente. Si creano tanti rapporti umani, quando la gente si apre emerge il lato più bello ma anche più faticoso da gestire, perché può distruggerti».
È il lato sensibile dell’artista, altrimenti saresti solo un esecutore di disegni. Questa sembra essere una caratteristica del tuo successo: sei puro e sei te stesso.
«Probabilmente la gente in qualche modo coglie questo aspetto».
Qual è il tema che preferisci?
«Tutto ciò che raffigura la natura, i fiori, il mare, ma mi fanno impazzire gli animali. Adoro studiarli, disegnarli, tatuarli».
Che cosa pensi di chi copre o cancella un tatuaggio?
«Un’immagine fa parte del tuo passato, della tua formazione, è inutile rinnegare quello che sei stato. Una volta commesso un errore non si torna più indietro, che tu voglia o meno ricordartelo. O sei in grado di sfruttarlo per migliorarti, o nascondi la testa sotto la sabbia e fingi di non vederlo. Ma è lì. Quindi, anche se un tatuaggio è antiestetico o non ti rappresenta più, è inutile coprirlo perché fa parte del tuo percorso».
Tu che errori hai fatto nella vita?
«Tanti. Per esempio non aver tirato fuori le palle a vent’anni ed essermi perso a rincorrere le donne e a studiare una materia verso cui non provavo interesse giusto per accontentare i miei, quando invece la risposta era davanti a me. Avrei potuto rendermene conto prima. Poi fortunatamente sono riuscito a svoltare: avevo un posto fisso e mi sono licenziato per inseguire un sogno. Una decisione azzardata».
Hai lasciato la sicurezza per avventurati in una strada incerta.
«Tra l’altro questo mondo è tosto e per importi devi sgomitare. Da Amanda Toy si sta bene, ci si migliora, ci si confronta, è un ambiente sereno. La sensazione che provo quando arrivo qui tutte le mattine è un entusiasmo fanciullesco: vivo sempre esperienze diverse, è un contesto molto stimolante che si rigenera di continuo».
Che tatuaggi sconsigli?
«I nomi delle fidanzate e i tatuaggi in faccia, soprattutto se il cliente è molto giovane. Quando cerco di dissuaderli alcuni si arrabbiano, ma io devo pensarci bene prima di assumermi certe responsabilità. A volte mi capita di pensare: avrò fatto bene?».
Ti sei mai portato a letto una che hai tatuato?
«Spesso. Sono un uomo libero e quando incontro una donna libera… Solo che a volte diventano insistenti, nonostante metta in chiaro che non ci sarà un seguito. Ma voi donne siete così: cercate l’amore e quando trovate uno disposto a buttarsi in una relazione scappate e preferite i bastardi che spariscono. Ora vorrei una donna speciale al mio fianco. Sogno una famiglia e voglio fare un figlio da giovane, per godermelo anche quando sarà grande».
In questo sei molto tradizionalista.
«Mi rendo conto che la mia immagine è fuorviante, ma ciò che descrive meglio chi sono è la rondine che ho sulla mano. È un uccello che si lega a una compagna e ci resta per tutta la vita, è libero ma torna sempre a casa. I tatuaggi, se li sai leggere, ti fanno capire com’è una persona. È l’idea che cerco di portare avanti. Poi, di recente, mi sono fatto questo teschio dell’amore cubista, perché muoio d’amore ogni dieci minuti. M’innamoro, muoio e poi rinasco. Continuamente».
Edoardo Tabacchi, conosciuto su Instagram come @sir.edwardtattoo, lavora nel salone Amanda Toy Tattoo Parlour, in via Rasori 8 a Milano.