Fabio Di Giannantonio è la nuova stella del Team Moto3 Del Conca Gresini. Diciott’anni, apparecchio ai denti, ammette di “cuccare poco” ma divertirsi tanto
Ha il sorriso d’argento, Fabio Di Giannantonio, l’apparecchio per i denti che scintilla a ogni risata. «Avevo l’appuntamento con il dentista ma sono dovuto venire qui a fare l’intervista», racconta dalla sede di Faenza del Team Del Conca Gresini la struttura che lo mette in griglia nel mondiale Moto3 su Honda. Diciott’anni, niente patente; l’accento romano che inizia a mescolarsi a qualche inflessione romagnola, perché da maggio 2016 ha deciso di trasferirsi a Misano. Ma lo sa cos’è un preso bene? No, non lo sa: «E’ un modo di dire che a Roma non si usa». Eppure lui lo è davvero.
Articolo di Jeffrey Zani; Foto di Chico De Luigi
Una sincerità disarmante
Sempre di buon umore, il pollice puntato in alto, l’entusiasmo in ogni atteggiamento. Sarà l’adrenalina di guidare una moto «da 250 all’ora»; sarà che la sua nuova casa «è vicina al mare, che adoro. Lì è pieno di ragazze, che è importante». Sei fidanzato? «No. Alla mia età sarebbe come dare l’assalto alla pole con una gomma media usata al posto della soft».
L’anno scorso, al giornalista che durante le prove del GP d’Italia gli chiese a cosa pensava per limare 3 decimi al giro, rispose con un laconico: «alla figa». Risate. Ma in circuito, a quanto dice, cucca poco.
«Per me è complicato perché le ragazze guardano quelli veloci; io nelle prove del venerdì e sabato, quando c’è tempo per combinare, sono lento. In gara rendo di più, ma succede di domenica e la sera se ne sono andate tutte».
Secondo le formule più inflazionate del vocabolario MotoGP, Fabio Di Giannantonio andrebbe descritto come un animale da gara: lumaca in prova e leone in gara, tre podi nel 2016, due nell’annata in corso.
Vita da fuori sede
Oggi è una promessa che raccoglie conferme, ma nel suo anno da rookie aveva iniziato la stagione con cinque zeri consecutivi. Poi il Mugello, dove ha spiazzato tutti arrivando secondo. Il segreto? «Trasferirmi a Misano per allenarmi nelle tante strutture che ci sono lì, dal flat-track alle pit-bike».
Fabio vive in un appartamento di 80 metri quadri con la dispensa colma di Teneroni: «Sono hamburger al prosciutto cotto; li butti in padella, tac tac e sono pronti da mangiare».
Per fortuna a fargli da fratello maggiore c’è l’amico Pietro, ventenne studente di Farmacia a Rimini; lui trasforma la sua vita da single in qualcosa di più simile a un’esperienza universitaria fuori sede. «Cucina lui, con la nostra comitiva ci godiamo la riviera, andiamo al Peter Pan o alla Villa delle Rose. Ma non bevo alcol, non fumo, mai fatto un tiro di sigaretta o di canna.
La prima volta in discoteca mi ci ha portato Pietro. Avevo 13 anni, ero in vacanza in riviera, siamo andati al Cocoricò. Mi sono cagato addosso tutta la sera, c’era gente che si sballava ovunque, non vedevo l’ora di tornare a casa».
Fuga dall’Eur
Il titolo ipotetico della sua storia recente potrebbe rientrare nel romanzo di un Pier Paolo Pasolini contemporaneo e semiserio, oppure in una clip di Nanni Moretti: fuga dall’Eur per inseguire un sogno. Fabio è cresciuto nel quartiere di Roma sud passando parecchie ore di fronte alla tv: «Mio padre aveva una montagna di videocassette sulle gare della Superbike e io le guardavo in continuazione. Il mio idolo è Troy Bayliss».
Nel frattempo si cimentava con le minimoto, scalando le categorie fino all’ingresso nel mondiale Moto3.
«L’esordio a Valencia a fine 2015, nel weekend incappo in tre cadute e demolisco la moto tre volte, delle mine atomiche».
Ma il Team Gresini ha creduto in lui, lo ha spinto nella stagione da rookie e lo ha convinto a spostarsi nella terra dei motori: la riviera romagnola che sconfina a Pesaro, l’entroterra con le sue colline, i tornanti che si arrampicano sui crinali.
Le avventure con Pietro
Di recente l’amico Pietro se n’è tornato da San Marino con un fucile a pallini: «Ci siamo messi sul terrazzo a sparare ai passanti, ma non ne abbiamo centrato nemmeno uno». Niente di paragonabile alla volta che, per ragioni oscure, erano rimasti senza un tetto e hanno «dormito per una settimana nella piscina di palline di un parco giochi per bambini».
Fabio è così: vive un sogno e continua a sognare. Se vincerà un titolo mondiale è già pronta l’idea «di un viaggio a Los Angeles con gli amici. Affitteremo la suite più bella e faremo un mischione di roba».
E con le americane? «La butteremo in caciara, come facciamo sempre. Quando non hai una strategia precisa fai così e in qualche modo ne vieni fuori».
Modesto nell’autoanalisi ma convinto dei suoi mezzi; esuberante nei toni, sincero nelle battute e negli sguardi, Fabio Di Giannantonio ricorda già i vecchi tempi quando «in minimoto c’era più complicità fra i piloti, mentre adesso ognuno sta per i fatti suoi. Facevamo i tornei con i videogiochi, le gare con i monopattini. Una volta caddi e mi alzai con abrasioni in tutte le gambe, sangue dalle caviglie alle cosce. Mio padre incazzato nero, la mamma di un amico che mi curava le ferite. Quelle cose un po’ mi mancano. Se ci penso, mi prende male».