Sei cilindri iconica, la Honda CBX 1000 è stata spogliata e reiventata da due giovani customizzatori argentini. Ecco la nuova streetfighter di Herencia Custom Garage
Prima degli anni Ottanta, quando compaiono le moto turbo e le proto-superbike, chi voleva un mezzo da uomini veri doveva andare alla ricerca di propulsori esagerati. Per esempio, i mostri a sei cilindri prodotti da Kawasaki, Benelli, Laverda. Se il loro cuore avrebbe potuto equipaggiare un aereo, il resto purtroppo non era allo stesso livello. Il peso minava l’agilità e la precisione di guida e quei motori pieni di pistoni in breve vennero relegati all’uso su moto da turismo. Qualcuno, però, non si è arreso; e ha provato a tirar fuori tutta la sportività inespressa da una delle sei cilindri più iconiche, la Honda CBX 1000. Due giovani argentini, German Karp e Federico Lozada, di Herencia Custom Garage, hanno compiuto un’opera di aggiornamento incredibile sulla grossa giapponese, trasformandola a tutti gli effetti in una micidiale streetfighter.
La moto base
La base è un dinosauro a sei cilindri classe 1979; ma ha avuto upgrade e modifiche praticamente sotto ogni punto di vista, per primo il motore. Grazie all’installazione di una batteria di 6 brutali carburatori Keihin CR, la cavalleria è stata incrementata rispetto ai già rispettabili 105 cavalli di serie. L’impianto elettrico è stato riorganizzato e, grazie a una nuova batteria al litio, s’è perso anche del peso.
Fichissima l’accensione laterale sotto il serbatoio via interruttore rosso, a mo’ di caccia. Il grosso del lavoro compiuto dai ragazzi sudamericani si è però concentrato sulla ciclistica, la nota dolente della CBX.
Se all’avantreno se la sono giocata facile installando la forcella di una Yamaha FZ8 completa, al posteriore il discorso era diverso. La Yamaha donatrice ha infatti fornito anche il forcellone posteriore e il mono, ma l’adattamento a questa Honda è stato lungo.
Intanto è stato allargato il telaio originale; poi mozzato di buoni 16 cm il forcellone adottato per mantenere l’interasse nativo. A questa operazione è stato affiancato un rinforzo degli attacchi motore per ottenere maggiore rigidezza.
Cancellato il difetto principale, nell’officina di Buenos Aires si è passati all’estetica
La coda è stata accorciata parecchio ma ha conservato il superclassico fanalone rettangolare. All’anteriore, invece, l’illuminazione è demandata a una maschera formata da dodici Led; dietro c’è l’unico strumento predisposto, quasi invisibile.
Comandi e pedane sono stati mutuati dalla povera Fazer già cannibalizzata per la ciclistica. Curioso il dettaglio del pannello in Lexan trasparente montato sopra la ruota posteriore; ripara dallo sporco e permette ai maniaci della meccanica di vedere che cosa c’è sotto la gonna.
Ultimi, ma non per importanza, i due dettagli che rappresentano il vero carattere di questa moto. Parliamo della livrea con cui è nata, splendida in rosso con nero e oro, e loro, quelle sei bocche da fuoco che spuntano lateralmente. Se c’è una cosa che valorizza un motore a sei cilindri, sono sei scarichi aperti. Che inferno dev’essere schiacciare quel tasto rosso…
di GIANRICO NAI