Custodi di una moderna tradizione automobilistica, sono i misteriosi protagonisti di sfide che oltrepassano il naturale confine del buonsenso
Articolo di Riccardo Casarini
Foto di Mike Garrett – Bowls Films
gli autentici streetracer sulla kanjo
La prefettura di Osaka, con la sua città portuale, costituisce un centro nevralgico per l’economia del Giappone. Ogni giorno milioni di persone incrociano le strade della capitale distrettuale, animata da uno spirito commerciale di matrice puramente giapponese, permeato di senso del dovere, rispettabili relazioni e puntuali adempimenti. È sulla superstrada Hanshin che si concentra gran parte del traffico giornaliero e in questa arteria è compresa la Kanjo, strada sopraelevata che attraversa in senso orario tutto il centro città.
Questo anello d’asfalto, dopo il tramonto, diventa un teatro sul quale vanno in scena alcune delle stridenti contraddizioni della terra del Sol levante; quando la compostezza si fa disinibita, il pudore vede smussati i propri angoli e l’osservanza delle regole è un costume da sfidare. Arriva la sera e il demone della velocità prende possesso del Loop (così è chiamata in gergo la sopraelevata) incarnandosi nelle figure dei Kanjozoku: autentici streetracer.
Gli ultimi samurai del JDM
I Kanjozoku si incontrano, trascorrono il proprio tempo libero stringendo relazioni e, naturalmente, sfidandosi alla guida. Finché non albeggia. Il tutto coperti da un anonimato apparente. Operai, tecnici specializzati, colletti bianchi. Chiunque può nascondersi dietro ai panni di un kanjo-racer. Nascondersi, letteralmente, con maschere da hockey, passamontagna o mascherine chirurgiche e cappellini tirati fin sugli occhi, per scongiurare d’essere riconosciuti fuori dal giro, mettendo a repentaglio la propria reputazione sociale. È la ricerca di una taumaturgica velocità clandestina, valvola di sfogo per una quotidianità iper razionale. Non banalmente, questo movimento nato a metà degli anni Ottanta ha dei riferimenti molto precisi in quanto a cultura motoristica, ed è questo l’aspetto più interessante: vetture provenienti esclusivamente dal Japan Domestic Market, livree che richiamano l’epoca della categoria Gruppo A nel Campionato Turismo giapponese (JTCC). Qualsiasi altra interpretazione è bandita.
Honda Civic, poche regole, tanto stile
Un Kanjozoku che si rispetti non può che possedere una Honda Civic. Sia essa l’iconica Wonder Civic, terza serie del modello che gode della venerazione degli appassionati, oppure le versioni più moderne già equipaggiate con i motori VTEC. La scelta si spiega con una predilezione per agilità e stabilità di guida, caratteristiche proprie della berlinetta nipponica. Le performance non sono estreme, giusto qualche cavallo in più e un assetto ben piantato. Il resto è stile. Raggiungere velocità di punta stratosferiche non ha importanza… è sufficiente superare i 180 chilometri orari, limite imposto alle auto della polizia, per farsi beffa delle pattuglie in servizio. Una sfida all’ordine che, quando non si conclude drasticamente, termina in strette di mano tra racer e chiacchierate cordiali appoggiati a un cofano.
Spesso, per confondere un po’ le acque, le Civic risultano graficamente diverse sui due lati e qualcuno arriva persino a cambiare l’intera livrea dopo una sola uscita notturna. Fa parte del gioco. Che un gioco non è affatto, perché oltre alla reputazione c’è in ballo la pellaccia. Per questo, in anni recenti, le istituzioni hanno preso provvedimenti seri disponendo controlli massicci. Il movimento del Kanjo Loop è stato fortemente ridimensionato, ma il suo fascino resiste. Quando fa buio, l’urlo di qualche limitatore a 9.000 rpm squarcia ancora le notti di Osaka.
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