Kawasaki Mach IV: un tradimento inevitabile

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Quando hai 13 anni t’innamori della Kawasaki 500 Mach III come se non ci fosse altra moto al mondo. Ma due anni dopo, ecco la sorella maggiore Mach IV

Kawasaki Mach IV: un tradimento inevitabile

Battuta amaramente sul tempo dalla Honda, che al Salone di Tokyo del 1968 presenta la straordinaria CB 750 Four, la Kawasaki reagisce lanciando sul mercato la sua mitica 500 H1. E, per non lasciare dubbi sull’indole di questa belva a due tempi con 60 cavalli e coppia massima a 7.000 giri, la chiama Kawasaki Mach III

Fiumi di inchiostro vengono versati dalle riviste di tutto il mondo. Si vuole determinare, o meglio, spiegare agli appassionati quale sia la scelta migliore tra due approcci alla maximoto così diametralmente opposti; si eccitano gli animi e le fantasie di milioni di centauri o aspiranti tali.

Nel 1971 avevo tredici anni, passione da vendere e un Motobecane 50 azzurro

Gli avevo tolto pedali e parafanghi e forato in più punti la marmitta; senza tuttavia ottenere il benché minimo vantaggio in termini di prestazioni, ma raggiungendo un livello di inquinamento acustico di assoluto rispetto.

Sapevo tutto della Kawa 500; leggevo ogni articolo o recensione che la riguardasse. La amavo come nessuna, sordo a ogni critica che potesse riguardare dettagli come sospensioni e telaio; o le nuvole di fumo oleoso che sapeva soffiare dai tre scarichi più belli della storia motociclistica.

Ma non avevo fatto i conti con la demenza giapponese. Che cosa fa una casa motociclistica dopo che il modello di punta è stato criticato per la sua pericolosità? Dopo che è stato bersagliato da feroci attacchi sull’incapacità di fermarsi se non contro qualcosa?

Che cosa pensa un nutrito gruppo di tecnici e uomini di marketing già bersaglio di critiche feroci per aver progettato e prodotto una motocicletta da 500 cc che non ne vuol sapere di appoggiare entrambe le ruote all’asfalto?

Lascia? No: raddoppia!

Nel settembre del 1971 arriva la 750!

Quattordici cavalli in più che diventano 74, 12 secondi sui 400 metri da fermo. Si chiama H2, o Mach IV se preferite. Uno sparo!

Inutile dire che la mia seppur platonica passione per la 500 non superò la fine dell’articolo sulla sorella maggiore, scritto da un celebre giornalista italiano.

Nonostante un ampio uso di aggettivi non propriamente gratificanti per una motocicletta, le foto della prova di accelerazione con il giornalista sconsolato che non riusciva a far appoggiare la gomma anteriore all’asfalto fino a oltre i cento chilometri all’ora mi sono rimaste scolpite nella fantasia e nel cuore.

La mia moto è una prima serie arrivata in Italia nel 1972

L’ho acquistata smontata nei primi anni Duemila in alcuni scatoloni di ricambi. L’ha riportata in vita da Roberto Rizzi (un grande e competente appassionato di Milano) dopo oltre un anno di lavoro ricavato nel poco tempo libero che la manutenzione di motori aeronautici gli lasciava.

Quando riesco a ritagliarmi due ore di tempo, la porto a giocare sulle curve del lago. La H2 mi ripaga ancora oggi a quarantacinque anni suonati (lei: io ne ho di più). Ha un sibilo paradisiaco e una piacevolezza di guida davvero speciale; a patto di evitare di insistere con la prima, se no lei si alza in piedi come nel ’72!

di ANONYMOUS

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