Massimo Gianfrate: "Amo la provincia"

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Abbiamo intervistato Massimo Gianfrate, direttore creativo di Berwich. Il segreto del suo successo? È made in Puglia

Bozzetti, collezioni, glamour, certo; ma Massimo Gianfrate, direttore creativo di Berwich, sa come non farsi rubare il tempo dalla vita. Con un piede nel passato e lo sguardo sul futuro, cerca ispirazione nei mercati, al bar, nei paesini tra i trulli e gli ulivi secolari. Fiero propulsore silente di provincia, tra una sfilata e l’altra, si ritaglia il tempo per girovagare in sella alla Yamaha TDM 850 comprata coi primi stipendi. E quando si spacca qualcosa, c’è Nino Talino, il mago del carburatore, che aggiusta tutto.

Massimo Gianfrate

Massimo Gianfrate e la sua TDM 850

Amuchina!

È con il nome del celebre disinfettante che Massimo Gianfrate, classe 1978, etichetta la generazione di oggi. Iperprotetta, cresciuta senza la fortuna di vivere il quartiere, di giocare per strada, di entrare presto nel mondo del lavoro per prendere quei cazziatoni che temprano il carattere.

Massimo fa parte della generazione che lui chiama «senza pensiero». Un bimbetto che, dritto sulle pedane del Leprotto Negrini di zio Minguccio, imparava a sillabare leggendo le insegne davanti alle salumerie, o dal panettiere. Un ragazzino che, senza casco, in due in sella, saettava tra i vicoli del centro storico di Martina Franca su un Garelli VIP 3V, sognando però il 4V.

«Non c’era niente di più figo che provare la magia dell’equilibrio tra frizione e marce a pedale. Altro che Ciao a presa diretta», ricorda. Il suo eroe era Michael Jordan: «Saltava e arrivava con la testa al canestro. Per vederlo dovevi aspettare la serata di Nba su Capodistria; o sperare che Giganti del basket arrivasse nell’edicola del paese».

Martina Franca (Taranto), 431 metri di altitudine, una delle località più fredde della Puglia. Qui ha sede la Berwich, fondata nel 1975 dai coniugi Michele e Anna Fumarola, all’epoca 23 anni lui, 16 lei. Da sempre produttori per marchi importanti, nel 2008 hanno lanciato il proprio, specializzato in pantaloni uomo e donna. Apriranno uno store monomarca a Milano

Massimo Gianfrate, un successo made in Puglia

Oggi dalle finestre del suo ufficio, dove passa le giornate a fare ricerca su tessuti, colori e prototipi, Gianfrate ha una vista mozzafiato su mezza Valle d’Itria. Le distese di ulivi e vigneti, i cupolini bianchi dei trulli, l’arancione delle cave di pietra… sembrano Grand Canyon in miniatura.

Il direttore creativo di Berwich ha 38 anni e tre figli. È un pugliese verace di Martina Franca, meno di 50mila anime, in provincia di Taranto. È qui la sede del marchio specializzato in pantaloni fondato nel ’75 da Anna e Michele Fumarola. Quel sogno, nato in una stanza di 4 metri per 4 e una sola Singer quale attrezzatura, oggi dà lavoro a 200 persone, età media 30 anni. Tutto rigorosamente made in Italy, anzi, made in Puglia.

«Mi piace l’idea di essere un propulsore silente della provincia, con un piede nella tradizione e lo sguardo aperto sul futuro; innovazione vuole anche dire mantenere le radici ben salde nella tua terra. Mai cancellare qualcosa che ha sempre funzionato, devi solo rivisitarla».

Martina Franca la reputazione di capitale tessile del Sud se l’è guadagnata sfornando, nel tempo, milioni di chilometri di stoffa. Prima che arrivasse l’Italsider, a una trentina di km da qui, la scelta era obbligata: o facevi il sarto o il contadino.

Tutto è partito dal cappotto

«La lana la fornivano le capre a pelo lungo degli allevamenti della zona, il tessuto si andava a comprarlo a Bari, il resto era lavorato a Martina. Poi i cappottari caricavano i camion e partivano, verso l’Abruzzo, la Calabria. Arrivavano nella piazza principale del paese, montavano il banchetto; di notte dormivano nel furgone, con l’incasso», racconta Massimo. Lui, la vera scuola di vita ha cominciato a frequentarla molto prima dell’università, in mezzo a quei sarti-operai che hanno imparato prima a cucire che a camminare.

«La paghetta che ti guadagnavi d’estate la tiravi su nei laboratori dei parenti, a scaricare rotoli di stoffa, a contare i bottoni. Poi, quando non c’era nessuno in giro, scattava la gara con i carrelli trasportatori e fantasticavi di essere Mazinga».

Berwich e la mongolfiera

Simbolo identificativo delle collezioni Berwich, dove oggi lavora anche la seconda generazione della famiglia Fumarola, è il logo della mongolfiera.

«Andarsene a zonzo tra le nuvole è un sogno primordiale, la voglia di avventura di un uomo agganciato a un pallone che sale e scende in balia delle correnti. Non sei a 12mila metri, ma a un’altezza che ti permette di decifrare colori e forme dei campi arati, alberi e masserie. È come vedere un action painting di Jackson Pollock».

Ispirazione? La vita

Massimo è un voyeur della vita, uno di quelli che rallenta il passo in mezzo alla strada per osservare dettagli che i più non notano.

«La benzina per la creatività la prendo da ciò che mi circonda: una persona che se la ride da sola; un vecchio vicolo, inatteso tra i quartieri ipertecnologici di Tokyo; le polaroid Anni 70 dei miei genitori a una festa. Uno dei miei luoghi preferiti è il mercato. Ci vado, anche se non devo comprare niente. È un po’ come stare al cinema. Guardi la scena di un gruppo di signore in fila davanti al bancone, o il salumiere che se la canta. E non devi nemmeno pagare il biglietto».

Gli chiedo se la provincia non gli stia stretta. Massimo risponde che questo isolamento a lui piace da morire. «Credo nella qualità del tempo. Qui tutto è a pochi minuti da casa. Non voglio perdermi nel traffico, nel caos. Amo vivere ogni piccola, grande emozione quando lo decido io, non solo nei weekend».

Magari andando in giro per la campagna con la vecchia Apecar ereditata dal nonno; oppure salendo sulla sua Yamaha TDM 850, quando ha voglia di sentire l’aria in faccia.

Massimo Gianfrate e Nino Talino

Massimo Gianfrate, 38 anni, e Nino Talino, 65 anni, meccanico. Il direttore creativo di Berwich ha frequentato Marketing a Bari e, nei weekend, una scuola di modellistica a Lecce. Nato a Locorotondo, ha sempre vissuto a Martina Franca. Con alcuni amici, ha aperto un bistrot, un cocktail bar e uno street food nel centro storico.

La moto di Massimo Gianfrate

«Quella moto l’ho comprata con i primi stipendi. Ha un vecchio design che funziona sempre; un po’ come la Golf, che piaceva a tutti negli Anni 80 e ancora oggi per qualcuno è il sogno. La TDM è il mio binocolo che cammina, non pretendo prestazioni super, a lei chiedo solo il piacere del viaggio. Voglio che continui a farmi provare la stessa emozione di quando si è arrampicata sul passo di Llogara: una decina di tornanti e un salto da zero a mille metri, guardi in basso e hai davanti la spettacolare riviera albanese».

Massimo la TDM non la venderà mai, ma ha già in mente il prossimo acquisto, una vecchia Yamaha TT.  «È da quando ho 16 anni che ce l’ho in testa. Allora avevamo tutti la Cagiva 125, ma sognavamo la fantastica enduro bianca col sellone rosso».

Dopo una giornata con Massimo, capisci che ha capito come non farsi rubare il tempo alla vita. In fondo, questo è il vero lusso, presentarsi al Pitti con una nuova collezione e tornare a casa per condividere il successo con le sarte che hanno trasformato il tuo bozzetto in realtà.

Poi due chiacchere al bar, un panino con cicoria, cipolla e capocollo e magari un salto a salutare Nino Talino, meccanico di quelli di una volta. Aggiusta tutto, dalla motosega al trattore, e, quando è in vena, ti racconta la storia delle vecchie Guzzi che tiene in officina, un Airone 250 e un Falcone, da cui non si separerà mai.

Stefania Romani; Enrico Salvadori

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