Ve le ricordate le mini-bike? Piccole, praticissime mini moto, simbolo degli anni Sessanta e Settanta. Abbiamo incontrato Pier Luigi Santini, collezionista
Sono le dimensioni a far grande una moto? Certo che no, quel che conta è la personalità. Cresciuti e poi esplosi in America negli anni Sessanta e Settanta, i modelli con le ruote basse e quelli pieghevoli sono stati prodotti dappertutto, anche in Italia. A tanti anni di distanza, è tempo di riscoprirli. Come ha fatto, giocando d’anticipo, Pier Luigi Santini, collezionista di mini-bike.
di Maurizio Gissi e Niccolò Rastrelli
«Io le definisco “Motine” e per me sono piccole, grandi moto, frutto della fantasia di progettisti eclettici». Delle mini-bike Pier Luigi Santini, toscano di Fucecchio, che di professione fa il pubblicitario, si è innamorato alcuni anni fa; in poco tempo, ha messo assieme una collezione davvero vasta, basata su modelli a ruote basse e pieghevoli.
«La prima folgorazione l’ho avuta a dieci anni, per un Cimatti Bat-Baby di un mio coetaneo. Tutte le volte che dalla finestra di casa lo vedevo scorrazzare davo di matto; un giorno mio padre me ne regalò uno identico riportando la pace in famiglia».
Nasce una passione

Una parte della collezione di mini-bike di Pier Luigi Santini
Era il 1970, e se il primo motorino è quello che lascia il segno e fa scattare la molla, il secondo passo, le gare motocross 50, l’ha caricata.
«Come accade a tanti, la passione per la moto è iniziata da piccolo», racconta Santini, «ereditata da mio fratello maggiore. A 14 anni ho cominciato con le gincane, guidavo un Bravo; il mio più grande rivale, manco a farlo apposta, era un collaudatore della Paggio. Su 23 gare ne ho vinte 22».
La moto Pier Luigi non l’ha mai abbandonata ma, crescendo, non ne ha fatta una malattia. Fino all’età di cinquant’anni.

Pier Luigi Santini, 56 anni, circondato dalle sue coloratissime “Motine”.
Dalle gare alla collezione
«Sei anni fa, navigando in rete, ho trovato il Cimatti che mi aveva regalato mio padre. Non ho resistito: sono andato a Padova e in garage, oltre al Bat-Baby, ho notato altri cinque o sei motorini. Allora l’ho buttata lì: “Ma se li prendo in blocco?”. Ho trattato un po’ e alla fine li ho caricati tutti e via.
Sono tornato a casa e a quel punto si è scatenato il macello. Quei motorini mi hanno preso, e non è solo un fatto sentimentale. Se le guardi bene, queste mini-bike hanno un sacco di contenuti interessanti e sono affascinanti. Secondo me, è un genere che potrebbe ritornare di moda, fra l’altro si prestano a essere personalizzate in tanti modi».
I modelli che da Firenze Pier Luigi ha portato con sé per il servizio fotografico di queste pagine non sono che una piccola parte della sua enorme collezione, solo alcuni di quelli più rappresentativi. Nel raccoglierli, Santini non ha seguito una selezione particolare. Gli capita di prendere diversi esemplari dello stesso modello, magari per formare una serie. «Li ripulisco, li rimetto in ordine, questo sì, ma per il restauro non ho tempo».
L’esemplare più vecchio della raccolta risale al 1936, l’ultimo è dell’inizio degli anni Novanta. «Prima degli anni Trenta non c’erano modelli concettualmente simili alle mie Motine; negli ultimi vent’anni, a parte rari esempi, sono arrivati gli elettrici e i cinesi, che sono improponibili».
Il mercato delle mini-bike

Il Fantic Motor TX-1, con ruote da 7”, freno anteriore a disco. Monta un motore Aspera a 4T da 148 cc con avviamento a strappo
Tre quarti della collezione di Santini sono composti da modelli che ha trovato in Italia, il resto ha provenienza europea, più qualche pezzo che arriva dagli Stati Uniti. Il mercato americano è quello che ha fatto crescere e poi esplodere il fenomeno mini-bike, con il periodo più ricco di proposte nei decenni Sessanta e Settanta.
Nel settore si sono gettati costruttori importanti come Harley-Davidson, Indian e Bombardier, minori come Artic Cat, Rapp, Fox e altri ancora che producevano rasa-erba o go-kart. Un mercato importante che ha attratto i giapponesi, Honda già nel 1961, e poi le marche italiane, Benelli e Fantic Motor in testa. Queste due case realizzarono, con successo, delle moto apposta per gli Usa.
A Pesaro, prima Benelli e poi MotoBi proposero i modelli Minibike, Mini Cross, City Bike, Buzzer, con motori a due tempi e le sospensioni per le ruote da 10 pollici. Fantic Motor realizzò la serie TX (Bronco) montando motori a due e quattro tempi. Dalla fine degli anni Sessanta ci sono stati pure i vari Aprilia Amico, Italjet Go-Go, Mondial Mini, Peripoli America, Guzzi Magnum.
Non chiamatele “moto da bambini”
Negli Usa c’erano i modelli a ruote piccole, pensati per bambini dai quattro anni in su, e quelli pieghevoli adatti a equipaggiare barche e motorhome. Avrebbero dovuto decongestionare il traffico; in realtà venivano comprati perché simpatici, semplici e divertenti da guidare.
«Si parla tanto degli americani perché sono stati bravi a montare la cosa. Però i loro modelli erano basici, quasi tutti con telaio rigido; e usavano motori con avviamento a strappo derivati da quelli dei decespugliatori. Le mini-bike più belle per me sono altre, sono quelle ammortizzate e rifinite meglio, delle moto vere in piccolo».
Honda Monkey
Da questo punto di vista, l’Honda Monkey, nata nel 1960 con la sigla Z100, è stata l’apripista. Soichiro Honda in quegli anni sognava in grande, il Tourist Trophy, la Formula Uno, ma da genio qual era sapeva accettare ogni sfida.
La Z100 nacque come moto dedicata ai bambini, anche se piacque agli adulti, e poteva traghettarli verso la moto vera. Montava l’indistruttibile 50 cc a quattro tempi del famoso Super Cub 100 e il serbatoio del modello C110, ma con ruote da cinque pollici, sella a 560 mm da terra e un peso di soli 42 kg. La sua formula indovinata e l’affidabilità l’hanno mantenuta in produzione fino a oggi; è diventata un classico nella nautica da diporto.
La prima versione era priva di forcella ammortizzata, il motore arrivò ad avere la distribuzione monoalbero in testa e 4,5 cavalli di potenza. Santini ne possiede più d’una. In queste immagini si notano un modello poco diffuso di Z100, con serbatoio bianco e telaio rosso, comprato in Inghilterra (è un 3 marce del 1963), uno Z50M del 1969 e uno Z50A del 1974. E un vivace Monkey Gold, edizione limitata anniversario, del 1996.
Rosella Lambretta
Un altro pezzo raro della collezione è il Rosella Lambretta, unico anche nel particolare telaio in tubi conici.
«È uno dei miei preferiti. Ha un design che trovo bellissimo, monta il motore Innocenti 50 a 3 marce manuali e il manubrio si ripiega. Pochi sanno che era fatto dalla Innocenti. Quando i Lambrettisti lo vedono gli viene, come diciamo in Toscana, la bava alla bocca. Lo costruiva la Scm di Segrate, controllata da Innocenti. C’è anche un’altra versione, con il motore Minarelli e il trave superiore incernierato, che lo rende pieghevole. È quello lì, colorato di rosso».
Il Rosella fu progettato per essere alloggiato nel vano di uno yacht, su un aereo da turismo o nel bagagliaio di un’auto, grazie a una lunghezza di appena 90 centimetri. Aveva la forcella ammortizzata e il motore oscillante, come sugli scooter attuali. Il tubo del telaio fungeva da serbatoio e alloggiava i fanali. Non fu distribuito da Innocenti e questo ne limitò la diffusione.
Le mini-bike in dotazione all’esercito
Di modelli pieghevoli e concettualmente innovativi nella collezione di Santini ce ne sono diversi; come il Valmobile, costruito a Lione nel 1955 e su licenza in Giappone nel 1961. «Un’idea furbissima! Una volta chiuso diventa una cassetta metallica, un trolley facile da trasportare e caricare ovunque».
Questo parallelepipedo con ruote, che è stato brevettato da un ingegnere aeronautico francese, si apre in 30 secondi e può trasportare due persone. Nella versione con motore 125 raggiungeva i 75 orari; venne testato per la guerra d’Indocina dalle truppe francesi, che però gli preferirono la Vespa 150 TAP commissionata appositamente alla Piaggio.
La 150 TAP era però grande quanto una Vespa normale; tutt’altra cosa rispetto al Welbike impiegato dai paracadutisti inglesi durante la Seconda guerra mondiale. Era fabbricato da Excelsior, la più antica industria motociclistica britannica, e montava un motore a due tempi 98 Villiers. Pesava 32 kg ed era lanciato all’interno di un piccolo contenitore cilindrico. Lo possiamo considerare il papà delle mini-moto pieghevoli moderne.

Il Gitan Mini (la Gitan ha prodotto dal 1950 al 1985) monta un 2 tempi da 49 cc con cambio a 4 marce a pedale. Meno riuscita esteticamente rispetto a Benelli o Fantic, la mini moto, a distanza di tanti anni, ha però acquistato un certo fascino
«Un mezzo incredibile», gongola Santini, «ne ho uno. L’ultimo acquisto è invece un Volugrafo Aermoto 125: mi è costato un occhio, ma non poteva mancare nella collezione dei paracadutabili».
Costruito a Torino (il progetto è del 1936), l’Aermoto ha un motore 123 cc da 2 cavalli, il telaio tubolare che inglobava l’impianto di scarico e delle singolari ruote gemellate per superare i terreni fangosi e resistere alle forature. Lo impiegò anche la Wehrmacht.
Pezzi unici
Un altro pieghevole della collezione, stavolta moderno, è l’Honda Motocompo del 1981. «È stato costruito per entrare nel bagagliaio della Honda City. Si incastrava perfettamente ed era venduto come accessorio dell’auto. Anche in Italia abbiamo dei pieghevoli interessanti: l’Italjet Packaway di fine anni Settanta del bravissimo Tartarini, che è esposto al MoMa; il primo Algat Plico, quello con la scocca in metallo, o l’ultimo Di Blasi, che si piega come un asciugamano».

L’Honda NCZ 50 Motocompo del 1982. Un pieghevole con motore in presa diretta: manubrio, sella e pedane si ripiegano a filo della scocca
Molte delle Motine di Santini aspettano di essere restaurate. Intanto, lui ha attrezzato un’officina con tutto il necessario. «Forse tra un po’ stacco con il lavoro e mi ci dedico».
E poi un obiettivo più grande. «I modelli che ho raccolto vorrei, prima o poi, mostrarli agli appassionati. Un architetto è al lavoro attorno all’idea di un museo che li possa raccontare. Il progetto e il luogo ci sono già. Ho in mente uno spazio espositivo capace anche di ospitare i visitatori: vuoi mettere la scenografia rispetto alle solite camere d’albergo?».