Una decorazione che compare sui caschi di molti nipponici. Un marchio carico di significato, le cui radici affondano però in Europa: nel nome di John Mooneyes Cooper
Articolo di Riccardo Casarini
Siete amanti delle corse e le seguite, come minimo, da quando i modem erano 56K e gli abbonamenti alla TV satellitare si pagavano in …milalire? Allora avrete certamente notato un tratto comune ad alcuni piloti giapponesi. Se avete pensato subito agli occhi, va be’, grazie, Graziella. Gli occhi c’entrano sì, ma in un altro senso, non si tratta della caratteristica forma a mandorla, bensì di quelli grandi e dallo stile fumettoso che molti esibivano sul casco. Shinya Nakano, Tsuyuki Nakasuga e Tomoyoshi Koyama sono, in ordine di tempo, alcuni dei riders del Sol Levante che si sono fregiati di questa grafica particolare, non a caso. Si tratta infatti di un tributo, un omaggio a chi in qualche modo ha patrocinato la loro ascesa fino ai campionati di massimo livello: la SP Tadao, produttore di scarichi e ricambi racing, il cui simbolo è proprio gli occhi di luna.
Gli occhioni di Tadashi San
La SP Tadao, conosciuta anche come Tadao Special Parts, è la marca fondata da Tadashi Suzuki, un manico di pilota, famoso nell’ambiente del motocross giapponese fin dagli anni Sessanta, come uno capace di darci dentro con il gas. Ragione della sua fortuna agonistica, oltre a quella indiscutibile del polso destro, è stata anche l’abilità nel progettare e realizzare delle vere chicche per migliorare le prestazioni delle sue moto. Una su tutte, gli scarichi ad alto rendimento. Tanto che, una volta ritiratosi dalle gare e fattosi due conti in tasca, Tadashi detto Tadao decise di metter su il proprio business, come diremmo oggi. Detto fatto, a quel punto mancava però qualcuno che portasse ancora i suoi prodotti nel giro delle competizioni. Escluso sé stesso per ragioni d’età (la panciera sotto alla pettorina stona un po’), esclusi pure i contratti con i piloti al top (pare che Suzuki sia d’origine genovese), non restava che una terza via: sponsorizzare la carriera di giovani e promettenti piloti a partire dalle categorie minori. Qui giù il cappello, per davvero. Una scelta che alla lunga ha ripagato tutti, perché ha aiutato molti giovani giapponesi ad emergere e questi, per riconoscenza, decisero di adottare in modo permanente i suoi occhioni, ben visibili sul casco. Ma a guardar bene, tanto per stare in tema, i mooneyes non sono esattamente roba sua…
John Mooneyes Cooper, road racer con stile
Tadao Suzuki, pur venendo da un’altra disciplina, era attento al mondo delle corse su strada e non gli sfuggì che in quegli anni (Sessanta-Settanta), qui nel Vecchio continente, un inglese originario del Derbyshire dava spesso battaglia ai piloti più blasonati, nei circuiti più insidiosi. Il suo nome è John Cooper, conosciuto nel giro proprio come Mooneyes. Non certo carente di talento, tanto meno di successi due NorthWest 200 e una Race of The Year), Cooper deve però gran parte della notorietà alla soluzione originale adottata per il suo casco rosso, che lo accompagnò per tutta la carriera: un adesivo raffigurante due occhi, schiaffato lì ad altezza fronte, quando il massimo dell’estro era l’utilizzo delle iniziali del proprio nome decorate. Un trucchetto, una furberia, in risposta a quegli ufficiali di gara che rigettarono una prima versione del casco, composta dalle lettere J.C. seguite dal disegno fatto a mano di J.Cricket, la versione disneyana del Grillo Parlante. Un dettaglio, questo, che a distanza di oltre cinquant’anni fa sì che le sue vecchie foto trasudino ancora stile. Parafrasando il Butterfly effect, riassumiamo quindi: se fai un torto al Grillo Parlante di Collodi, dall’altra parte del mondo i giapponesi vanno fortissimo in moto.