La scuola inglese, Saarinen e i finlandesi, King Kenny, Ruggia e i cesellatori alla Biaggi. Perché guidare è come suonare uno strumento, si riconosce la mano

Articolo di Riccardo Casarini

Partiamo da questo: un miglior modo di pilotare in senso assoluto non esiste. Se siete giunti alla convinzione che più il tempo, la tecnologia e i campionati avanzano, più ci si avvicina allo stato dell’arte, è ora di riconsiderare tutto ciò in cui credete. Invertiamo i punti di vista. Dietro al modo (ai modi) di stare in sella c’è un universo puntiforme fatto di personaggi innovatori, precursori goffi ed efficaci, vere e proprie correnti. Esistono, senza dubbio, dei modi più incisivi di altri per interpretare la moto a seconda della circostanza storica. L’evoluzione della guida non è mai stata rettilinea, è anzi un’intricata matassa di contaminazioni, imitazioni e tentativi. Il che rende tutto molto più affascinante di quanto non sia rincorrere un idolo, di volta in volta, come fosse un messia della specialità.

Roba per pochi. Jarno Saarinen mentre su una lastra di ghiaccio dà del gas a un cancello

Il motociclismo, una fede con tanti profeti

C’è stata un’epoca, tra i ‘60 e i ‘70,  in cui in Europa era difficile concepire qualcosa che non fosse la guida protesa e velistica espressa nel suo apice da Phil Read. Per tutti o quasi, allora, la moto si guidava così. Fine della storia. Nessuno immaginava che in Finlandia c’era gente strana, con gomme chiodate, capace di curvare con inclinazioni antiscientifiche piantando il manubrio nel ghiaccio degli ice-tracks. Quella fu la palestra di Jarno Saarinen, uno che al primo piede poggiato nel Mondiale ha fatto cadere a terra le mandibole dei veterani. Mai vista roba del genere. Poi la tragedia di Monza ci ha privato di quel fenomeno monumentale che era lì da venire. Fortunatamente però, a vederlo girare c’è riuscito, con i suoi occhi, un americano che con la guida selvaggia aveva già una certa confidenza: Kenneth Leroy Roberts. Si dice che alla 200 Miglia di Daytona del ‘73, quando Jarno s’impose come primo europeo a vincere la corsa, il giovane Kenny in arrivo dagli ovali sterrati prese appunti per potersi perfezionare in circuito; trasferire corpo e peso verso la corda della curva, buttare all’infuori il ginocchio, avere tanta fiducia all’anteriore. Non c’erano saponette di protezione e qualcuno, senza romanzare troppo, già accennava questa tecnica fasciandosi le giunture con il nastro adesivo, ma il primo a estremizzare il concetto, è stato proprio King Kenny. Poi è arrivata l’orda dei manici americani.

Un condensato di simbologia. Kenny Robert, la storica livrea Yamaha, il ginocchio sull’asfalto.

Il busto, il culo e il gomito

Tra gli anni ottanta e i duemila abbiamo assistito a un vero boom di sfumature. Mick Doohan, in parte costretto dalla sua condizione fisica dopo l’incidente di Assen nel 1992, concepì la sua peculiare ed efficace postura fatta di busto eretto e culo all’infuori. Tratti in parte ripresi da altri stilosissimi riders che negli anni si sono succeduti, come quel samurai iconico che è stato Norifumi Abe. Un ibrido tra piega estrema e guida composta è invece quello del corsaro Max. Biaggi ha aperto le porte a quel modo di portare la moto, chirurgico e cannibale, che sarà anche di Jorge Lorenzo. Il tutto mentre, in direzione opposta, gli australiani McCoy prima e Stoner dopo, derapavano con gran controllo. Uno vincendo gli ululati del pubblico preso bene e l’altro un paio di mondiali belli tosti. Ma il primo a usare i gomiti attivamente, Marc… ah no, stop & rewind: nella 250cc un tale Jean-Philippe Ruggia, pilota purosangue, folgorò tutti quando iniziò a strusciare i gomiti sui cordoli in cerca di un secondo punto di appoggio. Era Donington, era il 1988. Potremmo andare oltre ma tanto ci basta. Questo per dire cosa? Semplicemente che, per quanto potrà sembrar banale e scontato, spesso in preda al tifo ci si dimentica che di Jolly e fenomeni il mazzo è pieno e, alla fine, quel che ci piace è solo questione di stile.  

Una rinfrescata a questo scatto con photoshop e, per angolo di piega e stile, siamo già nel 2023. Voto 11 alla panza del commissario.

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