Racing, Mir Canà, Mir

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Sì, abbiamo citato l’Allenatore nel pallone («Mira Canà, mira»). Ma anche Joan Mir va tenuto d’occhio. «Il titolo Moto3 può essere una tappa del percorso, ma l’obiettivo è arrivare lassù»

La foga con cui scala le marce in staccata quando tira come un animale. Solo lui. La gamba che sbandiera, il pedale violentato. E poi la piega a sinistra. A volte all’ultima curva per soffiare il successo a un avversario. Altre in solitaria durante una fuga, vedi Le Mans.

Joan Mir è il capoclassifica del mondiale Moto3, a due terzi di stagione un distacco e una costanza che fanno mormorare l’inevitabile: a questo punto, salvo colpi di scena, solo lui può perderlo. Vince e se la ghigna, quasi sfacciato. Il sorriso da Joker, l’occhio da tenerone. Batte tutti e convince, tanto che per lui c’è già un posto nella cilindrata di mezzo, la Moto2, l’anno prossimo, con il team sulla carta più quotato. Quel Marc VDS che in questa stagione ha calcato il podio Moto2 in tutte le prime 12 gare. E che, con due moto schierate nella classe regina, rappresenta un ottimo ascensore per arrivare in MotoGP. Infatti il prossimo anno si schierarà nella massima serie con Franco Morbidelli e Tom Luthi.

Joan Mir, classe 97, numero 36 sulla Honda targata Leopard Racing. Spagnolo con l’aureola giallorossa aerografata sul casco. Di Palma di Maiorca come Jorge Lorenzo, ma il suo idolo è Valentino. Nel 2016 conquista la prima vittoria in Moto3 e riceve la proposta di Rossi. Vieni al ranch. «Ma avevo un test in programma e non ci sono potuto andare». È passato più di un anno e ancora niente. E se capitasse di correre alla 100 km dei campioni, gara a coppie nel parco giochi sterrato che il 9 volte iridato ha realizzato alle porte di Tavullia, con chi vorresti essere in squadra? «Beh con lui, the Doctor. Tanto si riprenderà presto». Proprio il pilota di cui sta calcando i passi. In questa stagione dopo undici gare ne aveva vinte sette, esattamente come fece nel 1997 Rossifumi. Joan nasceva quell’anno, il primo settembre, un giorno dopo la conquista del titolo di Vale in 125. Destino? Lo dirà un futuro in cui il diretto interessato si vede in MotoGP: «Il mio sogno è diventare campione nella top class, il titolo Moto3 può essere una tappa del percorso, ma l’obiettivo è vincere la MotoGP». Ambizioni da campione, insomma.

Ma per adesso lo spagnolo deve fare i conti con la categoria cadetta e con un inseguitore italiano, Romano Fenati. Che proprio di Valentino era il pupillo, prima che qualche scazzo lo portasse altrove. «Se gli dovessi rubare una dote sarebbe la percorrenza in curva. I nostri stili sono diversi, io stacco tardi e apro presto, Romano è molto veloce a moto piegata». Joan lo dice fresco di qualifiche a Silverstone, dove ha il secondo crono dietro al pilota di Ascoli Piceno. «L’assalto alla pole è l’aspetto che devo migliorare di più. Il mio ritmo di gara è sempre buono, ma a volte parto dietro e devo fare delle gran rimonte».

In televisione sembra che abbia tutto sotto controllo, ma dietro la visiera del casco la situazione è diversa: «Meglio scattare davanti, fare tutti quei sorpassi è divertente, però ci sono dei rischi». E lui non ne vorrebbe correre. In pista preferisce il campo libero al traffico. Fuori dal paddock la quiete alla movida: «Quest’estate ho fatto le vacanze a Formentera, poche feste, molto relax. E poi tanto mare nella mia Maiorca», isole Baleari, a Est di Valencia. «Amo il mare e mi piace fare wakeboard», una tavola sotto i piedi e un motoscafo che ti tira con una fune per farne di tutti i colori, a gambe in aria e testa in giù. Poi si torna in spiaggia, una doccia e magari una sessione di allenamento: «Motocross, motard, palestra, bici, faccio di tutto».

Capo chino e pedalare, insomma. Magari con in mente una frase attribuita a Joan Mirò. Artista, surrealista. Affezionato a Palma di Maiorca anche lui, l’omonimia sfiorata per quell’ultima vocale. «Un’opera dev’essere concepita con il fuoco nell’anima ma eseguita con clinica freddezza», diceva il maestro. Un consiglio buono per un arrivo in volata. Joan ne farà tesoro.

 

Testo di Jeffrey Zani

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