Riders, la critica del numero di settembre

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Un motociclista talebano commenta Riders di settembre mentre dà il meglio di sé (in bagno)

Imperdibile lo scorso numero di Riders? Mmmmh. Non sarei sincero. Come tante altre volte prima d’ora, dal primo numero uscito, l’avrei preso comunque. E come altre volte, dopo averlo letto, la delusione si sarebbe mischiata all’entusiasmo, in un cocktail del quale dopo tutti questi anni, non mi riesce di afferrare appieno il sapore… Qui nel dettaglio ecco cosa ne peso. Praticamente pagina per pagina.

42.
Le citazioni dello chef Filippo La Mantia sono spesso infarcite di grossolane imprecisioni, ad esempio quando ricorda che si andava con jeans a zampa d’elefante e stivali Camperos… Forse neppure un tarro del quartiere Zen li avrebbe abbinati, visto che tra questi due must dell’abbigliamento corrono dieci anni buoni, ma il culmine lo raggiunge quando ricorda che scorrazzava con la sua Honda 1200 sei cilindri, un modello evidentemente fatto apposta per lui, visto che la sei cilindri prodotta dalla casa alata, era la 1000CBX (che di cilindrata esatta era 1050).

56.
Da qui per ben dieci pagine a seguire c’è un’orgia di bellissime foto, con caschi, guanti e panorami da urlo… El Solitario. Ma dopo aver sfogliato avanti e indietro il servizio, dal cesso dove sono solito ritirarmi per leggere in pace, io urlo: «Ma dove cazzo sono le moto? Possibile che solo in controluce le faccia vedere, per creare la suspance e vendere i suoi ninnoli?». E poi l’intervista: sembra una conferenza di Renzi, con uno che tracheggia parlando di tutto e facendo insorgere il sospetto che ne capisca di niente, mentre l’altro si inchina di fronte al lider maximo… bah. Esaurito il logorroico soliloquio del guru ispanico, mi consolo con il bel racconto di Luca Beatrice… peccato che siano passate già 66 pagine di glamour, comunicazione, marketing, merchandising, brand e senza l’ombra di pistoni, frizioni, telai, alberi a cammes. Ah, manca anche la gnocca, no dico, state pure infinocchiandovi? (faccina perplessa).

69.
Finalmente scatto in attenti sulla tazza… Un bel traverso con la moto da short track (tanti ricordi). Short non flat, che si corre con le moto oltre 600 e twin. Vabbe’, può capitare, vedrai che adesso rientrano in traiettoria, mi dico. Invece no: si parla di due fighette modaioli che pigliano una Wood Rotax (ci giravamo sull’ovale di Castiglione Olona venti anni fa, e senza tirarcela più di tanto) e udite udite le modificano il codino, accorciandolo di ben 25 millimetri. Cazzo, con un upgrade del genere chissà come migliorano le prestazioni. Ma è a pagina 70 che l’esimia Stefania Romani infila le sue migliori perle : parla di Desert Sled definendole meravigliose due tempi. Ma porco il Castrol… Steve McQueen e la sua Triumph bicilindrica, rigorosamente a quattro tempi come tutte le altre desert sled, si rivolterebbero nella tomba e per non parlare della Bultaco Astro il cui motore nella pagina successiva è diventato Pur Sang anziché Pursang, quello della universalmente conosciuta moto da cross.

74.
Ecco che inizia un servizio sull’endurance d’epoca, mi rilasso pregustando belle immagini a tutta pagina di moto che amo e possiedo dalla fine degli anni Settanta, quando eravamo in pochi ad apprezzarle perché per molti erano solo moto da corsa non più competitive ma resto a bocca quasi asciutta: immagini in dissolvenza e impaginazione dal taglio fashion, impediscono di gustarsi i dettagli più succulenti. Andiamo avanti, anche se le chiappe cominciano a intorpidirsi per la lunga permanenza sul wc.

80.
Qui spicca un titolone PIEGATA DA PHIL READ, sì ma piegato dal ridere, Sir Philip Read quando ha guidato uno di questi due simpatici tarocchi simil MV Agusta. Simpatici ma tarocchi, perché non hanno solo il motore Kawasaki da strada come con un briciolo di onestà dichiara l’articolista (e te credo, nei circuiti le MV farlocche ormai le sgamano anche le ragazze del furgone dei panini…) anche i telai sono replicati e non originali, uno di certo, l’altro direi al 90%, quindi tarocco. E poi, quel povero motore Kawasaki stradale, sempre secondo le dichiarazioni che il candido Raffaele Paolucci ha preso per oro colato, sarebbe elaborato col fior fiore della componentistica Made in Usa (very Italian Style, of course). Ma allora, perchè monta ancora i tristissimi carburatorini a depressione della GPZ standard? Bella a vedersi, non c’è che dire, ammiccante, a tratti evocativa , ma con tutto il rispetto per chi l’ha fatta con l’intento di omaggiare le mitiche moto di Casina Costa, ma di MV a parte il look, in quelle moto c’è davvero poco.

88.
E di seguito c’è la Nina Zilli che si rolla un cannone e ci delizia con i suoi sopiti trascorsi in acido (testuale) ricordando di come lei e gli amici, che poi non sanno neppure dove stanno (quindi non arrivano) erano perennemente fuori. Grazie per la notizia, ce ne faremo una ragione e vado avanti a leggere. Le gambe ormai non le sento più ma non demordo: devo capire perché ho comprato un’altra volta la rivista.

94.
Poi si apre un servizio con belle immagini virate vintage, non mancano i pipponi pubblicitari e qualche abbinamento osé ma almeno si vedono un po’ di bei mezzi d’epoca. Peccato che il testo sullo stile di tal Francesco Cirignotta (sedicente artigiano, barbitonsore ambasciatore Proraso) sia monocorde e ripetitivo abbestia. In pratica perpetua il medesimo concetto per una dozzina di volte, quasi che il lettore-tipo secondo il Gran Visir del rasoio e della schiuma sia duro di comprendonio e che poi a pagina 102 venga ritratta una bella NSU ma ahinoi, capovolta (vedi marchio sul serbatoio). I due interventi-spot di Vicky Piria e del Libano non li commento neppure da tanto sono insipidi. Però arrivano due perle: una del grande Sgrilli da Follonica, che almeno lui non si prende sul serio, ma tra le righe prende i parvenu infiocchettati per il culo, l’altra di un simpatico Tommaso Paradiso, bravo nel rendere in poche righe il gusto del vento in faccia. Fosse stato El Solitario, per esprimere il medesimo concetto ci avrebbe massacrato gli zebedei per ore. Carino anche il pezzo di Aldo Drudi, colorato, anche se per decrittare tutti i termini aulici che ha adoperato per descrivere quella che in fondo è una locandina pubblicitaria, un motociclista-medio mi sa che deve ricorrere al vocabolario, che in bagno è scomodo da portare.

128.
E infine concludo con il pezzo, anche carino, che documenta la sortita sulla strip di Bonneville del trio Cecotti, Di Pillo e Rocco Anaclerio (tra un po’ va per i sessanta, chiamarlo come quando era un pischello, è un po’ fané). Premesso che il Cek è l’unico tecnicamente credibile (Di Pillo è un grande speaker, ma in moto è sempre stato fonte di terrore per chi doveva prestargli mezzi di un certo pregio, e il biondo ossigenato, nonostante l’ammirevole perseveranza, più di tanto in moto non va) penso che Pirovano, dopo aver letto, nel tempio della velocità, appena 206 km/h contro i 210 autolimitati della XSR900, vi avrebbe simpaticamente preso per il culo… come quando ci invitava a casa e, in una torrida giornata estiva, diceva alla mamma di prepararci un pentolone di brasato! Va bene il fondo rugoso che aumenta l’attrito di rotolamento e l’altitudine (alla fine Bonneville è a 1.300 metri, mica l’Himalaya, allora quelli che abitano a Edolo o a Livigno dovrebbero adeguare la centralina?) ma questa temo sia l’ennesima magra figura rimediata dall’ennesimo team italiano che ormai gli yankee sono abituati a considerare dei ragazzotti simpatici ma anche un po’ sprovveduti. Alla prossima…

A cura di Remo Contro

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