Riding school: nel teatro dei cordoli

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Vale in tutti i campi. Essere istruttore, insegnare, può significare tante cose, ma in generale non è semplicemente trasmettere qualcosa a qualcuno; più che una professione, perché sia svolta bene va vissuta come una specie di vocazione. Simone Sperandio, amico storico di Riders nonché istruttore FMI, ha provato a raccontarci come ci è arrivato e come si approccia questa attività, bella ma per niente facile

Articolo di Simone Sperandio

Quando ho cominciato a correre in moto sentivo la voglia spasmodica di velocità quasi come fosse una droga e ne volevo sempre di più, non ero mai sazio, sentivo che c’era sempre qualcosa che mancava che non capivo, ma che andava oltre all’assuefazione di guidare al limite. 

Un giorno di marzo in cui mi stavo preparando per affrontare un campionato, dopo una sessione di allenamento andata non benissimo e il mio stato d’animo era abbastanza irritato, il mio meccanico di allora disse: «Ho un paio di amici che vorrebbero avvicinarsi alla pista, ti va di accompagnarli e dar loro qualche consiglio?». Un fulmine a ciel sereno! Mi fece calmare tutto d’un tratto e rimasi sorpreso perché era l’ultima reazione che mi sarei aspettato di avere. Da lì si è concretizzata la parte che mancava: trasmettere la mia esperienza al prossimo. Ho accettato senza nemmeno pensarci e, da quel preciso episodio, ho capito che avevo trovato la strada per realizzarmi. Ho strutturato la giornata con la planimetria della pista, l’elenco delle bandiere per poter spiegare agli allievi il regolamento del circuito e come si ricevono le comunicazioni dai commissari di percorso. Così è partita la mia prima, indimenticabile giornata da coach e non ho più smesso.

Essere istruttore consiste nel creare nel minor tempo possibile il miglior livello di empatia, in modo da immedesimarsi nell’allievo, capire le sue paure e difficoltà prima delle sue esigenze tecniche e affrontare la parte teorica e tecnica prevista in un corso. Instaurato il rapporto e percepita la direzione da prendere, si passa alla conoscenza della corretta postura in sella alla moto, momento cruciale di apprendimento perché è la base di come si guida, e deve essere appresa nel migliore dei modi. Lo step successivo è quello in cui si analizza come affrontare le curve del circuito per individuarne i punti strategici; il compito del buon coach è quello di usare un linguaggio tecnico ma comprensibile per qualsiasi allievo.

Arriva il momento più bello, il più atteso: si sale in sella. Solitamente, chi è all’esordio è piuttosto teso: supportare psicologicamente la prima volta è una fase fondamentale per la gestione del neofita, che necessita di sostegno e tranquillità. Le prime sessioni in circuito sono dedicate alla conoscenza del tracciato, e qui la linea impostata dal tutor che precede diventa un vero e proprio riferimento per individuare e poi memorizzare le traiettorie. Ogni turno è alternato da pause ai box durante le quali, oltre a riposarsi, ci si confronta per valutare i progressi e/o identificare gli errori per provare a migliorarsi nella sessione successiva.

A fine giornata di un corso di guida sportiva in pista in genere vengono raggiunti gli obiettivi, che possono essere: migliorare il feeling e la scioltezza su strada, possibilmente incrementando la performance tra i cordoli, che come premio finale spesso regala il fatidico ginocchio che striscia sull’asfalto in percorrenza di curva, sogno esplosivo del motociclista di indole sportiva.

Lì, proprio lì, in quel loro momento di gloria inizia la gratificazione dell’istruttore, nell’istante in cui una volta scesi dalla moto c’è l’incontro diretto con gli scambi di complimenti e di ringraziamenti. Attimi estremamente gratificanti per chi ha svolto la funzione di trainer. Un’attività che innanzitutto è un grande carico di responsabilità, più che altro perché si ha a che fare con la velocità, perciò nulla va lasciato al caso. Anche se in autodromo il pericolo è sensibilmente inferiore alla strada, che proprio non c’è paragone. Poi ci sono le spesso alte aspettative che chi si affida a una scuola ripone in quella figura. E non bisogna deludere nessuno, a qualsiasi livello di capacità e bravura innata.

Fare della passione per la moto un lavoro è una fortuna che tanti possono immaginare, ma che solo chi la vive può comprendere, e sentirsi privilegiati è il minimo. Ok, adesso bando alle parole, su la cerniera della tuta, giù la visiera e… si entra in scena. Nel teatro dei cordoli.

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